Analisi condotte su alcune testi specifici

person using macbook air on table

Lavorare da remoto o in ufficio?

In questo periodo si è parlato tanto di lavoro “non in un ufficio”: è stato affrontato il tema giuslavoristico, si è parlato del fatto che spesso non è “Smart” o “Agile” ma semplicemente la continuazione dell’ufficio, ma con altri mezzi (riprendendo un classico di von Clausewitz 1, ma secondo me c’è stata poca attenzione a cosa voglia dire per i team e in generale per l’organizzazione sui progetti.

Un picco di consapevolezza

L’epidemia che si è abbattuta in Italia a partire da febbraio 2020 ha costretto molte persone ad accettare che molte attività potessero essere fatte da casa (o in qualunque altro luogo) e che l’idea che l’ufficio sia il luogo della produzione sia un retaggio del passato (o quantomeno valido realmente solo per alcuni settori o per alcune professioni molto specifiche).

Prima non era possibile?

Assolutamente sì: ricordo le mie prime giornate di lavoro da remoto ancora in Hagakure nel 2010 e sicuramente anche prima qualcosa era possibile fare. Tecnologicamente parlando sono almeno 10 anni che è possibile lavorare “fuori” dall’ufficio.

Ci sono anche innumerevoli casi di successo o case studies 2: i primi tre che mi vengono in mente sono Automattic (remota fin dalle origini nel 2005), Zapier (remota anch’essa fin dalle origini nel 2011) e Buffer (sempre nel 2011 e autrice di alcuni esperimenti non indifferenti come gli Open Salaries nel 2013). E sono le prime che mi vengono in mente: probabilmente ne esistono altre centinaia (anche in Italia, non solo all’estero).

Ma quindi, se era possibile da un punto di vista tecnologico e vi erano già degli apripista, come mai si è spesso tirato il freno a mano? Il fatto che qualcosa sia possibile non lo rende automaticamente credibile e fattibile.

Tra la teoria e la pratica, in teoria non c’è differenza. In pratica c’è

Yogi Berra

Dovendo trovare una ragione profonda banalmente perché è più complesso, soprattutto su tre assi (focalizzandoci sempre sul team): organizzazione, comunicazione e più in generale cultura, tre aspetti profondamente interconnessi.

Due considerazioni sull’ufficio

Vi siete mai chiesti per quale motivo i team di eSport si allenino nella stessa stanza? Si può benissimo giocare a LoL da qualunque parte del mondo, quindi perché riunirsi nello stesso spazio?

Molto semplicemente per fare in modo che una serie di persone (gruppo) diventino una squadra (team) e per fare questo è più efficace ed efficiente farlo nello stesso spazio.

Vorrei sottolineare più efficace e più efficiente: si può fare anche da remoto, ma potrebbe volerci molto più tempo e i risultati potrebbero non essere gli stessi.

Se prendiamo ad esempio anche la filosofia Agile vi è sempre stato una grande attenzione alla co-locazione del team di lavoro che emerge ad esempio nei principi:

  • […]work together daily[…]
  • […]give them the environment[…]
  • […]face-to-face conversation[…]

Perché anche qui questa insistenza? Perché l’idea alla base di questa modalità di lavoro troviamo, tra le altre cose, la riduzione dell’incertezza portando un gruppo di persone a diventare un team di lavoro. Avere tutte le persone nella stessa stanza, per esempio, rende più semplici gli scambi comunicativi, in caso di dubbio il collega è disponibile per un confronto, tutti sono costantemente allineati 3.

Tornando però al team che condivide gli stessi spazi, il fatto di abitare un medesimo luogo facilita (qualora siano presenti le giuste condizioni) i passaggi all’interno del ciclo di Tuckman ed è quindi, teoricamente possibile, arrivare rapidamente al Performing.

Da remoto questo passaggio non è impossibile, ma è decisamente più difficile (in quanto la socialità è ridotta e le dinamiche//interazioni di gruppo ridotte, cosa che può portare a una minor visibilità sulle criticità tra i membri del team).

Se l’ufficio è da un lato quindi un supermercato informativo 24/7 (se ti serve qualcosa c’è il collega a disposizione), ecco che questo può nascondere tutta una serie di inefficienze che rendono difficile il lavoro da remoto:

  • se una persona è visibile posso “controllare” che sia al computer;
  • se un processo non è definito posso chiedere rapidamente a un collega;
  • se ho un dubbio su qualcosa posso alzare la testa e parlare con un altro membro del team.

Partiamo dall’ultimo punto: la comunicazione, croce e delizia del lavoro in ufficio. Spesso si ritiene il lavoro da casa più produttivo perché sono meno presenti le interruzioni (posto che lavorare da casa con dei bambini annulla immediatamente questa condizione), ma solo perché stiamo nascondendo il vero problema ovvero la mancanza di rispetto e una comunicazione strutturata.

La mancanza di una comunicazione completa, chiara, corretta e tempestiva rende molto, molto, molto difficile lavorare da remoto: ricevere informazioni incomplete, poco chiare, parziali e a poco tempestive (la classica opportunità delle 17.58 da consegnare la mattina dopo) è diffusa in ufficio perché, purtroppo, è più semplice da gestire.

Parlando sempre di semplicità e gestione, possiamo risalire e parlare di processi: se non c’è chiarezza su come fare le cose, l’ufficio è straordinario nel nascondere le inefficienze (tanto, come abbiamo detto poco sopra, basta interrompere un collega per trovare la risposta).

Sapere a chi rivolgersi (che è banalmente la mappatura di ruoli/competenze/capacità) e sapere cosa fare senza dover chiedere ogni volta a qualcuno sperando abbia la risposta da remoto rende molto, molto, molto difficile lavorare.

Infine, se non sono chiari i processi, se non ho organizzato il lavoro per modalità sincrone e asincrone, ecco che la valutazione della famigerata produttività difficilmente si potrà basare sui risultati, ma solo sulle ore passate davanti allo schermo.

Per cui, se l’azienda non è organizzata (o non vuole farlo) lavorare da remoto diventa quasi un incubo ed è, ancora una volta, un tema di cultura aziendale.

Ufficio vs Remoto

Se abbiamo superato la dicotomia libro vs e-book (l’abbiamo superata vero?) comprendendo che sono due strumenti differenti che rispondono a esigenze differenti, ecco che anche la contrapposizione dei luoghi perde di senso. Ovviamente bisogna valutare punti di forza e debolezza delle soluzioni, il contesto nel quale si è inseriti e trovare il bilanciamento ottimale.

Anche in Agile, lavorare da remoto è possibile, introduce delle criticità, ma è fattibile: la cosa che credo difficile è pensare che la capacità di creare legami con gli altri non sia fondamentale per lavorare su problemi complessi o su prodotti nuovi, il passaggio da Knowledge Worker a Creative Worker.

Dal mio punto di vista credo che l’ufficio da luogo di produzione sia (o stia diventando) il luogo della socialità: è il posto in cui crei legami con i colleghi, crei cultura aziendale, definisci alcune attività che da remoto sarebbero più complicate (le parole sono importanti: non sono impossibili, solo più complicate). Non è un caso se anche le aziende che da anni sono full remote abbiano una/due volte l’anno degli incontri globali dove tutti i membri dell’azienda si possono incontrare e socializzare.

Infine credo comunque che per generare valore nel modo più rapido con un team (per cui se si lavora individualmente cade tutto), il fatto di condividere uno spazio minimo due volte alla settimana sia, al momento, irrinunciabile. Se invece esistono già dei processi, una buona cultura aziendale, siamo vicini al performing come team, una inception di progetto in presenza (in quanto allargata anche ad altri Stakeholder non parte del team), e poi si può lavorare anche in full remote.

Se però pensiamo di prendere un ufficio e, senza cambiamenti, senza lavoro accessorio, portarlo magicamente da remoto il risultato è uno solo

Nel frattempo altre imprese e altri ecosistemi avranno fatto passi da gigante

Note:

  1. Autore del testo “Della Guerra
  2. Quando si diffonderà anche qui la consapevolezza che la Case History è, nel mondo anglosassone, la storia clinica sarà sempre troppo tardi
  3. Ci sarebbe molto altro da dire sulla condivisione degli spazi e la collaborazione, ma prendiamo per un secondo molti uffici italiani: in quanti ci sono dei team e in quanti invece ci sono delle persone che lavorano da sole all’interno della stessa area funzionale?
four rock formation

Lean Presentation Design

Personalmente adoro fare presentazioni 1 e recentemente, per il Freelance Day, io e Chiara abbiamo fatto una presentazione a quattro mani e, quando metti un PM con una PO succedono cose straordinarie che meritano di essere raccontate.

Il lavoro sulle slide (la parte facile)

Dopo aver concordato Argomento, Titolo e Descrizione del nostro intervento con Chiara ci siamo messi all’opera: dal momento che avremmo lavorato a distanza abbiamo optato per Google Slides (evitando in questo modo rimpalli di email e lavorando su un’unica versione condivisa).

Ci siamo dati appuntamento e in (video) presenza abbiamo inserito la copertina fornita dagli organizzatori e scelto un tema, tra quelli disponibili, con elementi che ricordassero lo stile. Poi, prima di lavorare sui contenuti, usando la prima slide e il sito, abbiamo personalizzato il tema (colori e font).

Definito lo stile era giunta l’ora dei contenuti: tempo a disposizione (25-27 minuti), scaletta, organizzazione dei temi, divisione delle slide.

A questo punto ci siamo dati appuntamento alla settimana successiva: avremmo lavorato in autonomia sulle slide e rifatto il punto. Concordata la data del prossimo incontro ognuno ha organizzato il proprio lavoro.

Martedì altro momento insieme e revisione leggera sui contenuti, ordine e qualche prima considerazione su cosa aggiungere, togliere. Definite le attività ognuno avrebbe lavorato in autonomia (provando le sue parti) e il lunedì successivo avremmo fatto una prova.

Altro incontro e prima prova: considerazioni, prendiamo qualche appunto, siamo leggermente sopra con i tempi, ripensiamo qualcosa. Appuntamento alla settimana successiva con i cronometri alla mano e slide già consegnate (5 giorni di anticipo sulle richieste degli organizzatori).

Ultimo test, 25 minuti, ci siamo: ci diamo appuntamento a sabato 24, all’una un test per il video, alle 16.30 speech, 27 minuti

Cosa c’è dietro (la parte difficile)

Io lavoro come consulente in Project Management, Chiara è una Professional Organizer: probabilmente usiamo strumenti diversi, ma condividiamo alcuni principi e soprattutto un metodo, anzi una filosofia di lavoro.

Organizzare il lavoro

Le nostre slide non hanno visto una “webex permanente”, un lavoro costantemente in presenza, ma una valutazione di cosa ci serviva (per lavorare meglio) in presenza (time boxed 2 e quando invece lavorare in maniera indipendente.

Una rappresentazione visiva è la seguente: un’alternanza di lavoro sincrono e asincrono

Nei momenti “live” lavoravamo contemporaneamente condividendo delle attività che richiedevano la presenza di entrambi, negli altri momenti ognuno dei due aveva una serie di attività da realizzare secondo la propria organizzazione, i propri impegni e le proprie preferenze (ad esempio io sono un Gufo e Chiara un’Allodola).

Sembra quasi Lavoro Agile (e non una brutta copia in digitale del lavoro in ufficio).

Metodo e disciplina

Questo modo di organizzare, fare le prove, non ce lo siamo imposto: per me e Chiara è stato naturale organizzare le attività perché fa parte, come dicevo prima, della nostra filosofia di lavoro, del modo in cui gestiamo le attività.

La buona notizia è che non siamo nati così (per lo meno io), ma che con allenamento, pratica e disciplina abbiamo trovato delle soluzioni che ci consentono di lavorare meglio. Al tempo stesso questa è anche la cattiva notizia perché non esiste uno strumento magico che consenta di gestire bene le cose: bisogna darsi un metodo di lavoro. Un metodo che non deve essere solo nostro, ma condiviso anche con le persone con le quali stiamo lavorando (immaginate se io avessi voluto lavorare in un modo e Chiara in un altro, disastro).

Come ogni gruppo di lavoro dovrebbe fare, abbiamo definito prima strumenti, pratiche e appuntamenti per definire il nostro framework (o WoW, Ways Of Working) e poi abbiamo semplicemente lavorato.

“Eh, ma per un intervento di 27 minuti, tra sincrono e asincrono, sommando le attività avete lavorato 8 ore”

Sì. E su questa osservazione due considerazioni:

  1. può sembrare tanto tempo 3, ma il nostro lavoro è stato lineare e non c’è stato nemmeno un rework, una correzione. Nessun momento in cui ci siamo detti “aspetta il template è sbagliato – il font non è quello giusto – no rifacciamo tutta la scaletta”. Nella maggior parte dei progetti si parte molto veloci e poi ci si perde: si pensa che a correre subito si sia più veloci, ma alla fine, quando si misurano i risultati, si vede che sul lungo periodo l’organizzazione paga;
  2. siamo consapevoli di quanto tempo ci abbiamo messo e dei passi cha abbiamo fatto. Molto spesso, tornando all’esempio di sopra, chi parte senza una strategia, non sapendo come lavorerà o come organizzerà il proprio lavoro farà più fatica a misurare e sapete qual è uno dei grandi segreti per far quadrare i budget di progetto? Non rendicontare. Ma credo che misurare aiuti non a controllare persone e colleghi, ma a lavorare meglio: come direbbe Mando: This is the way.

Anche qui, molto Agili.

La qualità non si aggiunge

E arriviamo alla parte finale, quella più importante e difficile, ovvero quella di filosofia (che da anche il titolo al post). C’è un elemento chiave nel modo di lavorare che abbiamo deciso di utilizzare io e Chiara che possiamo riportare agli approcci Lean e Agile

Build a culture of stopping to fix problems, to get quality right the first time.

The Toyota Way – Principio n° 5

Continuous attention to technical excellence and good design enhances agility.

Agile Manifesto – Principio n°9

Nel fare le slide, le prove, non siamo mai tornati indietro: quando si verificava un problema ci siamo fermati e abbiamo identificato la soluzione: quante volte negli uffici si finisce una presentazione e ci si accorge che il logo è vecchio? che i titoli non sono allineati? che il template non è giusto e cambiandolo bisogna rimpaginare?

La qualità di un prodotto, in questo caso una presentazione, è qualcosa che abbiamo inserito come caratteristica del nostro lavoro, non come qualcosa che è stato aggiunto dopo.

Pensiamo a quanto tempo sprechiamo nel correggere lavori fatti in maniera approssimativa e quanto invece sarebbe più interessante e produttivo lavorare meglio e dedicare quel tempo (che è finito) ad altre riflessioni e ad altre attività (anche a supporto dei colleghi).

Questo modo di lavorare, un po’ alla volta, diventa un’abitudine e difficilmente riuscirai a farne a meno per il semplice fatto che si lavora meglio e a nessuno piace lavorare male (soprattutto quando scopri quanto sia diverso e positivo il diverso approccio).

Cultura aziendale

Fare le cose giuste al primo tentativo è difficile, ma se iniziamo a non passare cose mal fatte, a fermarci qualche minuto in più, sul lungo periodo lavoreremo tutti meglio.

Non si tratta di un cambiamento facile perché questa è una tematica di cultura aziendale e non tanto di metodo o di strumenti. Se ci pensiamo bene molte scelte lavorative discendono direttamente dallo stile manageriale dell’impresa e dalla cultura dell’azieda 4A volte poi viene mitigato o ingigantito dall’attitudine personale/ref].

In un’azienda dove ti guadano male se ti fermi per una riflessione, chi si prederà del tempo per correggere? in un luogo dove “non c’è tempo” chi si sentirà autorizzato a prendersi qualche minuto in più? Se non viene data importanza al lavoro dei colleghi, quanti si prenderanno il tempo per ascoltare? E così via.

Ovviamente, per me, è un discorso molto profondo perché ha a che fare con i valori profondi di un’impresa e soprattutto con il rispetto degli altri: lasciare “le slide” in ordine in modo che qualcun altro possa lavorare meglio è rispetto per l’altro, non un semplice vezzo.

Come ha detto Deming: la qualità non si aggiunge, buona o cattiva è già nel prodotto. Per cui lavoriamo bene 🙂

Inspection does not improve the quality, nor guarantee quality. Inspection is too late. The quality, good or bad, is already in the product. Quality cannot be inspected into a product or service; it must be built into it.

W. Edwards Deming

Note:

  1. Sulla mia vetrina Amazon – facendo gli esperimenti da Influencer – ho creato una sezione dedicata ai miei libri preferiti sul tema del Presentation Design
  2. È il concetto che un’attività/evento può occupare al massimo un determinato tempo
  3. Ecco, pensare che fare le presentazioni fatte bene sia un lavoro semplice è una grande illusione: richiedono tanto tempo per essere pensate e realizzate. Ovvio, lavorare male è sempre possibile, ma non è il modo in cui credo sia giusto lavorare

Gli Influencer spiegati bene

In questo periodo, oltre ai fiori sugli alberi, sono spuntati una serie di articoli e post sugli Influencer il cui contenuti (volendo mantenere un inglese distacco) sono vagamente discutibili e nei quali emerge una conoscenza non sempre profonda del tema. Per cui, nella speranza di fare un po’ di chiarezza e non vedere l’anno prossimo rispuntare altri articoli con le medesime riflessioni, riprendiamo alcuni concetti base.

Read more

I limiti dell’influencer marketing

S’inizia anche in Italia a discutere di Influencer Marketing: tra i vari elementi di discussione che si potrebbero affrontare (perché non è corretto parlare di Influencer Marketing, perché la discussione andrebbe impostata in maniera differente, quali sono gli scenari attuali e futuri) vorrei concentrarmi su un punto fondante sul quale c’è una discreta confusione: i limiti delle attività con gli Influencer.

Read more

Cookie e tutela della privacy: lo stai facendo male

Ci sono momenti in cui vedi delle cose stupide, ma talmente stupide, da provocarti una sorta di dolore fisico. Mentre scuoti la testa, ti chiedi come sia possibile arrivare a una decisione di questo tipo: come si fa a voler proteggere la riservatezza degli utenti, i loro dati e partorire una cosa come la Cookie Law che va nella direzione opposta?

Read more

La comunicazione è un vettore

Uno degli argomenti più affascinanti nel mondo della comunicazione e del marketing è sicuramente quello della strategia, poiché porta con sé un insieme di temi e problematiche particolarmente complesse. Parte della sua problematicità è dovuta anche al fatto che oggi il termine strategia è usato molto spesso impropriamente e che non tutti gli interlocutori comprendono la sua importanza e la differenza con le tattiche. Una buona metafora (che mi sembra funzionare ultimamente) è quella del vettore.

Read more

Due parole sulle crisi sui Social Media (e relative analisi)

Il termine “crisi” è usato sempre più spesso all’interno dei Social Media: sono aumentate le critiche? Crisi. sono aumentati i post negativi? Crisi. Sono…. CRISI!. L’ultimo esempio è la vicenda Moncler Report: vorrei usare quest’ultimo esempio per analizzare un po’ meglio cosa è una crisi e il modo in cui dovremmo analizzarle e parlarne.

Read more

L’importanza dei team eterogenei

Uno degli aspetti più interessanti legati ai progetti sui Social Media è il tema delle competenze. Si tratta di una riflessione che può essere applicato anche ad altre aree, sicuramente a tutto il digitale: perché è così difficile sviluppare un’attività di successo? Molto semplicemente perché ci troviamo davanti a materie che richiedono l’interazione tra più persone, materie e (per rimanere in ambito aziendale) più dipartimenti o aree.

Read more

Impressioni su Ello

Da qualche giorno sto esplorando Ello, il nuovo Social Network che minaccia Facebook. Per lo meno questo è quello che si trova su alcuni articoli italiani (come ad esempio sull’Hufftington Post ). Tuttavia dopo alcuni giorni di utilizzo sono abbastanza convinto che siano parole utilizzate in maniera del tutto  casuale: solo chi infatti non l’ha usato o non l’ha mai visto potrebbe usare simili termini.

Read more

Target: vita, morte e resurrezione

Stavo per scrivere un post negativo, di critica, di quelli che portano tanti click (piccola curiosità: i post negativi portano molti più traffico di quelli positivi perché l’arousal per le emozioni negative è più bassa di quello per le emozioni positive), ma nel pieno spirito costruttivo dell’iniziativa di Matteo Flora “smetti di criticcare” ho deciso di fare uno positivo. Avrò meno traffico, ma me ne farò una ragione.

Il marketing è morto, il target è morto, insomma stanno morendo tutti: una strage. In realtà mi sembra che stiano morendo questi termini solo per chi non li conosce davvero (o li usa in maniera impropria).

Read more