Cosa Conosciamo



Questo post ha piu' di sei mesi. Le informazioni contenute potrebbero non essere aggiornate: ultima modifica: 3.09.11

Mentre le ventole della palestra facevano muovere le pagine del mio libro di testo, ho incominciato a pensare a cosa noi conosciamo e in che modo possiamo dire di sapere qualcosa o di conoscere qualcosa.

Stavo leggendo le teorie semiotiche e linguistiche di Aristoltele ed ho realizzato che conosciamo solo quello di cui abbiamo un esperienza diretta, una conoscenza soggettiva e diretta. Per tutte quelle cose di cui non abbiamo esperienza creiamo, per dirla con le parole di Charles Sanders Peirce, un abito, una veste mentale che ci porta a fare azioni simili in situazioni simili, modificando i nostri comportamenti in base alle risposte esterne (tocco il fuoco-> brucia ->non tocco più il fuoco): quindi possiamo dare una risposta alla domanda Zen, “Che rumore farà un albero che cade in una foreta dove non cìè nessuno ad udire il suono?”. L’albero non farà nessun rumore, perchè non siamo li, ma crederemo che avrà fatto un sonoro crash: una distinzione tra credere e conoscere quindi,

Inoltre penso che quello che conosciamo sia soggettivo ed incomunicabile, dal momento che la nostra esperienza è solo nostra e anche se provassimo a comunicarla ne saremo impossibilitati: le stesse parole hanno una valenza per noi ed una sfumatura differente per un altro (“ho visto una bella casa” per me è una cosa e per voi un’altra). Potremo avvicinarci come rappresentazione e come ideale, ma le nostre esperienze rimarranno solo e solamente nostre. Provate ad esempio a spiegare o descrivere un orgasmo o l’amore:
– Ciao, sono innamorato!
– Capisco
Non si prova l’amore della persona innamorata, ma pensiamo che lui provi quello che proviamo, o abbiamo provato noi (applichiamo all’altro l’abito innamorato).

Non per questo non bisogna comunicare: anzi, bisogna comunicare il più possibile e cercare di farlo almeglio, facendo attenzione a come ci esprimiamo, senza dare nulla per scontato e ammettendo di non essere sempre in grado di farci capire al primo colpo: quanti fattori entrano in gioco (velocità di chi parla, di chi ascolta, rumore, attenzione..); quante volte diciamo una cosa e l’altro ne capisce una completamente diversa? Non per cattiveria, ma per una splendida diversità che ci contradistingue.

La comunicazione è meravigliosa

Nella foto c’è Platone, lo preferisco ad Aristotele

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