Facebook tra Dunbar e Fubar



Questo post ha piu' di sei mesi. Le informazioni contenute potrebbero non essere aggiornate: ultima modifica: 20.12.11

Facebook è il Social Network più famoso e popoloso del mondo (800 milioni di utenti nel mondo, 21 in Italia), Dunbar è uno studioso noto per aver determinato il numero massimo delle relazioni che un essere umano può gestire (circa 150), FUBAR è un acronimo che sta per “fucked up beyond all recognition/any repair/all reason” (wikipedia): che cosa lega questi tre elementi? Semplice, la fitness di gruppo.

La fitness in biologia è il valore che esprime la percentuale di successo nella trasmissione del genotipo (brutalmente il tasso di successo riproduttivo) e questo valore dipende da diversi fattori. Negli animali sociali uno degli elementi che influenza la fitness è la dimensione del gruppo: come direbbe Alberto Angela “ma andiamo a vedere”

Questo simpatico grafico (disegnare sull’iPad mi da sempre più soddisfazione) indica il rapporto che esiste tra dimensioni del gruppo (sull’asse delle ascisse)  e fitness (sulle ordinate)rapporto tra fitness e dimensioni del gruppo

Se andiamo ad analizzare nello specifico i risultati vediamo che un individuo, quando è da solo ha una certa fitness (al punto di origine) e che all’aumentare delle dimensioni del gruppo questa aumenta. Quando però il gruppo supera le dimensioni ottimali i costi del gruppo (gestione, comunicazione, organizzazione) superano i benefici e quindi la fitness scende findo ad arrivare al di sotto del valore che l’individuo solitario. Questa situazione la viviamo regolarmente anche all’interno delle organizzazioni (gestire un team di 200 persone inizia ad essere decisamente complicato e non si riesce a tenere tutti e tutto sotto controllo) e nella vita di tutti i giorni. Dunbar ha ipotizzato che il numero massimo di relazioni che siamo in grado di gestire è compreso tra 100 e 230 (per questo di solito si arrotonda a 150) e che rappresenta quindi il valore al quale la fitness sembrerebbe essere al suo apice.

Ma come si lega la fitness a Facebook? La nostra sopravvivenza, come abbiamo detto a più riprese è legata alla nostra capacità di leggere l’ambiente, anticipare i rischi e sfruttare le opportunità: siamo informivori. Da questo punto di vista la fitness possiamo intenderla in senso classico (successo riproduttivo) o prenderci una leggera libertà dal punti di vista del senso e intenderlo come efficacia comunicativa (dopotutto il genotipo è un insieme di informazioni). Nel mondo reale, avere una buona presenza online si traduce con una maggior facilità nel trovare lavoro (competenza, skill, contatti) e quindi con un aumento del mio potenziale stato sociale. Una presenza online efficace, sia per una persona che per un’azienda, consiste nella capacità di far vendere i propri prodotti o se stessi attraverso l’interazione e diffondendo quindi informazioni: un numero di amici, follower, contatti troppo alto porta a dei costi di gestione talmente elevati da non giustificare un investimento (che magari può essere spostato su altre piattaforme o media). Inoltre, al momento, i costi per emergere all’interno di Facebook sono decisamente alti: per riuscire a emergere tra i 900 milioni di social object gli investimenti in ADV diventano sempre più importanti e costosi e non sempre portano a un ROI positivo.

Facciamo due esempi concreti:

  • Pagina con 2.500 contatti: gestione in-house, rapporto diretto con le persone (maggior probabilità che spostando la pagina seguano tutti), nessun costo aggiuntivo per tool di moderazione, sviluppo di tab ad hoc, investimento minimo di adv, produzione di contenuti due volte a settimana, una risorsa dedicata per analisi, moderazione etc. Costo totale dell’operazione: 4.000 € set up e 1.500 € di gestione al mese (spannometricamente). Ipotizziamo per semplicità che in un anno le vendite grazie a Facebook portino 22.000 €. Usando la classica formula che piace tanto vediamo che il ROI: 4,76 %
  • Pagina con 5.500.000 contatti: gestione in-house più ricorso ad agenzie esterne per creatività e gestione, rapporto mediato con le persone (alla chiusura del canale non tutti i fan seguono), necessario un tool di moderazione, sviluppo di diverse tab, investimento in ADV pesante, quattro risorse dedicate alla sola gestione della pagina, sviluppo di contenuti ad hoc quotidiana. Costo dell’operazione: set up 12.000 € e 10.000 € di gestione al mese (sempre spannometricamente). Sempre per semplicità facciamo che in un anno le vendite grazie all’attività su Facebook portino a 140.000 €. Stessa forumla precedente, ROI: -1,41 %

Sono esempi banali e inventati (ma più o meno le cifre che bisogna mettere in conto sono quelle) e vediamo che i costi per raggiungere numeriche importanti sono diventati elevati (ovviamente bisognerebbe prendere in considerazione tutto l’ambiente in cui la pagina aziendale si inserisce per fare un’analisi completa sull’efficacia delle attività social, ma andremmo fuori tema). Un numero elevato di amici corrisponde a questo punto a un ornamento, ma come per gli animali (pensiamo agli uccelli del paradiso) questi possono andare a diminuire le possibilità di sopravvivere nell’ambiente.

Per una persona questi costi si traducono nella difficoltà di emergere e trovare informazioni interessanti: il nostro tempo è una risorsa scarsa e preziosa e  durante il giorno cerchiamo di ottimizzare il rapporto tra informazioni utili e tempo a disposizione. Su Facebook, all’aumentare dei contatti e delle condivisioni diventa sempre più complesso e costoso (a livello di tempo e risorse cognitive) filtrare le informazioni: l’edgerank (l’algoritmo di Facebook che determina che cosa appare sulla nostro feed delle notizie) cerca di gestire e mitigare questo effetto, ma con risultati a volte discutibili.

Forse per questo motivo applicazioni come Flipboard, Zite, Tweetmag, i veri Feed Reader che aggregano i contenuti hanno visto un così grande successo: semplicemente aggregano le informazioni utili in maniera piacevole.

Un ulteriore elemento che mi ha portato a riflettere è il seguente diagramma: il rapporto tra effort e partecipazione

rapporto tra effort e partecipazione

Nulla di sconvolgente, ma anche in questo caso un dato che sperimentiamo ogni giorno: maggiore è l’effort richiesto, minore è la partecipazione. Le persone mettono like più di quanto non scrivano update, tendono a commentare su Facebook invece che sui Blog: è più facile. Questo però significa che aumentando contemporaneamente complessità e complicatezza diminuisce il livello di engagement degli utenti (che non sono stupidi, solo pigri e tendenti all’ottimizzazione).

Su questo punto sono numerose le ricerche a partire dalla più famosa regola dell’1-9-90 di Nielsen che illustra come all’interno di una community i creatori siano solo 1%, le persone che condividono il 9%, mentre i meri osservatori il 90%: rispetto ai dati del 2006 i valori sono leggermente aumentati ma parliamo di  10-20-70. Se la piattaforma oltre ad avere un numero enorme di persone, di oggetti condivisi e rumore, risulta anche complessa, gli utenti iniziano a cercare ambienti diversi all’interno dei quali stabilirsi: oltretutto i costi di migrazioni nelle patch informative (rispetto al passato) non sono sconvolgenti.

Le persone tendono a spostarsi raramente dalla loro oasi informativa, dopotutto ne conoscono il funzionamento, hanno i loro amici, sono integrati nell’ambiente. Quando però i costi diventano troppo elevati siamo disposti a correre il rischio derivante dallo spostamento: ogni migrazione richiede il dispendio di energie e la ricerca di una nuova piattaforma richiede una nuova registrazione, comprensione delle logiche, integrazione con le regole e l’ambiente esistente, sviluppo di un nuovo gruppo sociale o tentativo di ristabilire il precedente.

La presenza di altri utenti è l’ultimo aspetto fondamentale e che si lega a quanto detto fino ad ora. Bisogna tenere presente che la maggior parte delle scoperte interessanti vengono fatte in un ambiente condiviso e in grado di stimolare il confronto delle idee: esiste un rapporto tra le scoperte che una persona può fare da sola (rosso) e in gruppo (verde)

rapporto tra l'utilità e la probabilità di una scoperta

Il funzionamento del sistema di crowdsourcing si basa su questo schema (che ho preso pari pari dalle lezioni di Pirolli): quando siamo da soli siamo in grado di trovare un sacco di soluzioni nessuna delle quali particolarmente innovativa o disruptive ma, se possiamo accedere ad un ambiente dove possiamo condividere e leggere i contributi di altri utenti, ecco che la probabilità di fare scoperte utili aumenta. L’importanza di un ambiente eterogeneo e variegato è proprio nella capacità di vedere e raccogliere informazioni che possono andare a comporre un puzzle di cui non siamo ancora consapevoli: vedere sempre le stesse persone e gli stessi status, non è detto che sia la strada migliore per l’innovazione.

Durante il seminario sul Visual Thinking in Inventive Design, il professor Thomas Arciszewski ha detto alcune cose che mi sono rimaste particolarmente impresse: per riuscire a vedere la soluzione o creare qualcosa di nuovo abbiamo bisogno di raccogliere una quantità elevatissima di dati. Una volta raccolti, le soluzioni e i collegamenti appariranno semplicemente davanti a noi: non è forse questo il valore dell’esperienza? Vedere immediatamente i pattern e la soluzione ricollegando e ristrutturando le informazioni in nostro possesso (il processo mentale alla base di questi fenomeni è straordinario). Il valore di una piattaforma per l’innovazione è proprio la capacità di creare un terreno comune sul quale poi altre persone possono creare e attingere in un sistema coopetitivo (su questo ho avuto il piacere di scrivere un articolo insieme ad Alfonso relativo a Internet come piattaforma per l’innovazione). Trovo inoltre bellissimo il video di Steven Johnson legato al libro “where good ideas come from”

Abbiamo visto tre grafici diversi che illustrano in maniera chiara alcuni pattern all’interno delle piattaforme social e sui quali sto riflettendo per capire meglio Facebook e i dubbi che ho sulla piattaforma. Volendo sintetizzare:

  • esiste un rapporto preciso tra dimensioni e fitness: se superiamo la dimensione ottimale andiamo in perdita e conviene cambiare gruppo sociale o piattaforma (io ad esempio su Facebook non mi trovo particolarmente bene e ho optato per altre soluzioni);
  • all’aumentare dell’effort diminuisce la partecipazione: se la piattaforma diventa troppo complicata le persone interagiscono meno (è uno dei motivi per cui gli utenti premono tendono a condividere e commentare su Facebook e non a scrivere commenti al post);
  • una scoperta utile è più probabile se abbiamo un confronto  e una collaborazione con altre persone: il crowdsourcing è uno strumento particolarmente importante da questo punto di vista ma a mio avviso non è ancora del tutto maturo;
Sicuramente le piattaforme social sono importanti perché consentono di esplorare, ottimizzare ed espandere la nostra fame per le informazioni, la sfida che attende chi studia e lavora con questi fenomeni è trovare piattaforme che consentano di ottimizzare i risultati, gestire la conoscenza e trovare dei modelli che aiutino a comprendere meglio i fenomeni che stiamo osservando

Headline image: Photo by brookenovak – http://flic.kr/p/3Joqqi

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