Il rapporto tra indicali, nomi propri e nickname nel web 2.0



Questo post ha piu' di sei mesi. Le informazioni contenute potrebbero non essere aggiornate: ultima modifica: 13.06.12

A causa di un Tweet di Vincos che citava Wittgenstein mi si è accesa una lampadina e sono andato a recuperare alcune vecchie tesine di Filosofia del Linguaggio e mi sono messe a rileggerle. Riprendendo i vecchi scritti del 2006 mi sono affiorati un sacco di ricordi, come succede quando recuperi i diari delle medie o delle vecchie lettere: subito ti tornano in mente le serate passate a scrivere, le derive semiotiche al limite del delirio, le lezioni e gli incontri fatti a DsC, tra le mura di via Azzo Gardino. Alcune delle vecchie cose che ho scritto mi sembrano ancora interessanti e possono essere uno spunto di riflessione o di ulteriori approfondimenti sul tema e quindi ho deciso di pubblicarla (magari prossimamente anche le altre).

Ecco quindi il testo da leggere integralmente online o da scaricare in PDF (1,4 mb). Ho deciso di non apportare nessuna correzione, ma di pubblicarlo nella sua versione originale del 2006

Featured image: Photo by fotologic – http://flic.kr/p/5JCaBM

[hr]

1. Introduzione

Su Facebook, uno dei social network più popolari nel mondo, vi sono 115 milioni di utenti; Twitter, servizio di microblogging, conta più di un milione d’iscritti ed un traffico giornaliero di tre milioni di messaggi.; nel mondo, al momento vi sono più di 150 milioni di blog. E per ognuno di questi servizi il numero di utenti è in aumento.

Questi tre elementi ricadono sotto quello che viene comunemente definito il web 2.0, quella parte della rete nella quale i contenuti sono generati dagli utenti, dalla base e non vengono proposti dall’alto secondo uno schema top-bottom. Una modalità di fruire il sapere in modo diffuso, dove i propri contatti diventano fonte di ricchezza, in quanto permettono di essere aggiornati e di trovare soluzioni ai problemi nei quali si può incorrere durante il giorno.

Possiamo vedere però una grande differenza che divide Facebook (FB) dagli altri due servizi: su FB devo registrarmi con i miei dati reali, con il mio nome e cognome, non posso utilizzare pseudonimi, non posso iscrivermi con i dati di un altro soggetto, devo essere una persona fisica. Su Twitter e nel mondo dei blog questa non è una “condicio sine qua non”: posso utilizzare la mia identità fisica oppure uno pseudonimo, la scelta è personale.

Osservando queste diverse piattaforme, e l’uso che di esse viene fatto da parte degli utenti, possiamo andare ad analizzare l’utilizzo degli indicali e riflettere soprattutto sui veri modi di riferirsi ad uno stesso oggetto, soprattutto legato ad una riflessione sui nomi personali. Molto spesso, in rete, possiamo vedere come si presenti un problema di riferimento: “Io/Tu”, “Marco”, “Funkysurfer” sono semplicemente designazioni diverse di uno stesso oggetto? Possiamo analizzare questi elementi per cercare di stabilire se essi abbiano un reale valore informativo? Oppure ci troviamo davanti a delle mere tautologie? Solo in caso di diverse designazioni di diversi oggetti possiamo parlare di carattere informativo o anche in caso di designazioni uguali di oggetti differenti?

2. Indicali, Nomi Propri, Nickname

Inoltre uno dei problemi su molte piattaforme di comunicazione è: come faccio ad essere sicuro che la persona con la quale sto comunicando sia la persona che ho in mente? Come posso essere sicuro che “Lui” sia davvero la persona con la quale voglio stabilire un contatto? Anche se il problema sembra ovvio, osservando i modi di comunicare nella rete vediamo come il riferimento ad una persona o ad un oggetto non sia banale o semplice.

Ci troviamo in uno spazio, o mondo per utilizzare il linguaggio della logica, dove abbiamo elementi differenti ed universi sovrapponibili senza che vi sia un identità precisa tra gli oggetti designati. Per riferirsi agli oggetti si utilizza una sorta di “ostensione virtuale”, l’uso di “@” nelle risposte o nei commenti diretti: devo indicare a chi mi sto riferendo, ma come posso farlo in maniera certa?

2.1 Gli indicali

“Io”, “Piero”, “Pierotaglia”. Tre diverse espressioni che si riferiscono allo stesso oggetto, in questo caso l’autore del testo. Questi tre elementi differiscono per innumerevoli aspetti tra di loro ed ora cercheremo di capire quali essi siano. Come primo punto analizzeremo ogni singolo elemento per poi compararli nelle conclusioni.

“Io” è un indicale puro. Kaplan afferma che un indicale puro dipende dal contesto e che sia direttamente referenziale. Questo comporta che il significato di “Io” dipenda dal carattere, dalle regole semantiche che ne fissano la relazione con l’oggetto: io si riferisce al parlante o allo scrivente.

Anche se può sembrare banale questo elemento tornerà molto utile più avanti per vedere delle sostanziali differenze con gli altri elementi. In questo caso possiamo affermare che “Io”, se preso come proposizione logica, è sempre vera: “io = io”, “a = a”, è impossibile che “a = ¬a.” Una tautologia, in qualunque mondo possibile, proprio perché in questo caso l’elemento non possiede vincoli, non è collegato strettamente e direttamente con un oggetto, ma intrattiene relazioni momentanee con oggetti differenti: potrò quindi avere di volta in volta relazioni come “a=a”, “a=b”, “a=c”… “a=n” sempre vere dove in linguaggio logico possiamo formulare come [Mn] ∀x (Px → Qx) dove la relazione è sempre vera e valida per ogni elemento.

Sottolineiamo ancora che questo è vero per ogni modello e mondo possibile, non esiste un mondo in cui il “io” sia diverso o assuma altre regole dalle quali si ricava il suo significato. In questo caso possiamo vedere come l’indicale non produca conoscenza, non m’informa: le differenti forme che la proposizione assume sono solo casi particolari della forma “a=a”.

2.2 Nomi Propri

I nomi propri all’interno della rete non sono vengono molto utilizzati: come affermavamo nell’introduzione questo avviene prevalentemente solo su FB, mentre su altre piattaforme si ricorre agli pseudonimi, elemento che andremo ad analizzare nel paragrafo successivo.

“Piero” è un nome proprio così come “Marco” o “Paolo” e Frege riteneva che i nomi propri fossero un concetto individuale. Si può affermare che i nomi non hanno valore di verità, solo gli enunciati infatti possono assumere tali valori: “Marco” non è né vero né falso. Personalmente ritengo che l’enunciato “a=a” e “a=b” riferito ai nomi propri abbia valore conoscitivo, nonostante Frege sostenga il contrario: questa relazione infatti esprime casi particolari in modelli precisi, non validi universalmente.

Se ad esempio immaginiamo un universo “M” dove ci sono n oggetti questa relazione non sarà fonte di conoscenza poiché “a” corrisponderà solo ad “a” poiché mi saranno note tutte le relazioni che intercorrono tra i vari oggetti.

Se però andiamo a riflettere su quello che sono i mondi reali possiamo vedere come ogni individuo non possieda dei modelli universali con oggetti illimitati e con identità precise e stabilite in maniera univoca, ogni individuo possiede modelli limitati con relazioni instabili. Possiamo vedere quindi come nel mio modello [Pa] possa essere vera la relazione “Ma”, ovvero che l’individuo “a” possiede la caratteristica di “chiamarsi Marco”, ma mi può essere ignoto il fatto che esista la relazione “Mb”, ovvero che la proprietà “chiamarsi Marco” appartenga anche all’individuo “b”: se quindi io stabilisco una relazione ed affermo un identità dove dichiaro che “a=b” sicuramente questo è fonte di conoscenza e non posso affermare che sia vero a priori, proprio per il fatto che il mio modello non sia assoluto ma relativo ad una serie di oggetti.

Fonte di conoscenza poiché la relazione d’identità non è necessariamente vera. Possiamo vedere come questa relazione sia complessa poiché i nomi propri sono elementi singolari e particolari: possiamo infatti avere “a=a” vera sia “a=a” falsa. Posso infatti affermare che Piero è Piero, ma non so a priori se mi sto riferendo allo stesso elemento o a due elementi diversi che ricadono sotto lo stesso modo di designazione. In questo caso possiamo vedere come questo risolvibile solo introducendo i quantificatori: posso infatti affermare “Esiste una persona il cui nome corrisponde a Piero e che identifico con una data persona”. Ma questo è valido solo per un modello preciso come affermato in precedenza.

Nel linguaggio logico formale posso dire che [Ma] ∃x (Pax→Qax) esiste un individuo per il quale è sempre vera solo in un dato modello, non posso affermarlo come relazione vera per ogni mondo possibile. Infatti io posso anche affermare come [Ma] ∃x (Pax→Qbx), la proprietà di chiamarsi Piero può appartenere anche ad altri individui, ma in quel caso abbiamo due diversi elementi che non possono essere assimilabili: non posso affermare che a=b, in quanto sono due elementi completamenti diversi. In un dato modello io posso quindi avere il seguente enunciato: [Ma] ∃x (Pax→Qax) ⋀ (Pax→Qbx) e [Mb] ∃x (Pax→Qax) ⋁ (Px→Qbx), ma sono solo casi particolari. Diversamente dall’indicale puro precedente analizzato in questo caso i valori di verità degli enunciati, ed anche dei singoli elementi sono legati a casi particolari.

Possiamo dire che è fonte di conoscenza poiché gli elementi che possiedono la proprietà di avere un nome, di essere designati in un certo modo, sono potenzialmente infiniti ed ignoti.

2.3 Nickname

“Pierotaglia” è un nickname allo stesso modo di “Funkysurfer” che designano due persone specifiche. Questi elementi sono estremamente interessanti dal mio punto di vista. Questi elementi, infatti, possiedono una relazione d’identità particolare poiché sono elementi singolari, veri solo per una determinata occorrenza, non in più casi: designano solo un oggetto, non sono esistono diversi designati. Un referente unico per un designato unico.

Anche se la relazione che intercorre tra gli elementi mi è ignota non potrò mai avere il caso in cui “a=b” sia vero, l’unica relazione che assume valore di verità è “a=a” dove una diversa designazione corrisponde allo stesso elemento: “Marco” è “Funkysurfer”.

Apparentemente potremmo affermare in maniera ingenua che non vi è differenza tra gli alias ed i nomi propri: sono solo designazioni diverse di oggetti uguali. In realtà il nome proprio, come già affermato, non è una proprietà che appartiene ad un solo elemento, ma può essere applicata ad “n” elementi differenti; al contrario il nickname come proprietà può essere data solamente all’individuo “a”: possiamo quindi affermare che il nickname è un designatore rigido.

Volendo anche qui formalizzare con il linguaggio logico possiamo introdurre il quantificatore ∀, dove diversamente dal quantificatori utilizzato nei nomi propri, dove si affermava che esiste almeno un individuo che soddisfa tale relazione, la relazione qui indicata è universale. Possiamo vedere infatti come questi nomi siano sempre veri indipendentemente dal mondo di riferimento preso ma sono veri solo per una singola occorrenza [Mn] ∀x (Max → Qcx), posso dire che solo Marco Zamperini è Funkysurfer, solo quel Marco ha una relazione con il suo Nickname, qualsiasi altra associazione è falsa.

3. Conclusioni

Possiamo riassumere ed infine analizzare i risultati dell’analisi fin qui svolta. In notazione logica possiamo scrivere i tre diversi elementi in questo modo:

  • Indicali [Mn] ∀x (Px → Qx) La relazione tra gli elementi è sempre vera
  • Nomi Propri [Ma] ∃x (Pax → Pnx) Relazione valida solo in un universo “a” per n elementi
  • Nickname [Mn] ∀x (Max → Qcx) Relazione valida in tutti gli universi dove la relazione è vera per un solo gli elementi

Così scritta possiamo affermare che per quanto riguarda gli indicali puri non posso accrescere la mia conoscenza, dal momento che il significato non è legato ad elementi singolari, il significato è legato a regole semantiche. Negli altri due casi invece io posso avere informazioni: posso infatti sapere che “Marco” è “Marco” o che “Marco” non è “Marco” e posso anche scoprire che “Marco” è “Fankysurfer”.

Tutte queste relazioni non possono essere stabilite a priori, ma sono conoscenze. Se i nomi fossero descrizioni camuffate, come afferma Russel, io avrei subito consapevolezza della relazione d’identità e quindi non avrei una conoscenza a priori, elemento che però è irreale. Seguendo invece la concezione di Frege, che ritengo più corretta, i nomi propri sono concetti individuali e proprio per questa loro individualità che possono informare sul fatto che diversi oggetti possano essere designati nello stesso modo. Rispetto agli indicali è necessaria un’indicazione associata, proprio per l’assenza di conoscenza a priori della proprietà e delle relazioni degli oggetti: nella rete quando comunico devo dirigere l’attenzione verso un determinato oggetto per poter stabilire una relazione che prima era ignota.

Bibliografia

Leonardi Paolo, “Appunti delle Lezioni”, Disponibili on line http://www-utenti.dsc.unibo.it/~paolo.leonardi/index.html

Raynaud S., “Tu, Io Qui, Ora. Quale semantica per gli Indicali?”, Guerrino e Associati, 2006

0 replies

Leave a Reply

Want to join the discussion?
Feel free to contribute!

Leave a Reply