Degli Influencer: ovvero come si misura l’influenza online



Questo post ha piu' di sei mesi. Le informazioni contenute potrebbero non essere aggiornate: ultima modifica: 3.02.12

L’anno scorso uno dei principali argomenti di dibattito in rete era su quale fosse il ROI delle attività del web 2.0: oggi, nonostante questo tema sia ancora presente, l’attenzione si è focalizzata sull’influenza, sul potere degli influencer nei confronti dei propri followers e su come definire e misurare questo valore. Sono nate piattaforme che dichiarano di misurare questo valore, klout è la più famosa, ma esistono anche peerindex e followerwonk: ma funzionano? Misurano qualcosa? Esiste l’influenza?

Partiamo dall’ultima domanda che è quella fondamentale e, come primo passo, diamo una definizione di che cosa è l’influenza. Secondo l’oxford dictionary:

  • 1 [mass noun] the capacity to have an effect on the character, development, or behaviour of someone or something, or the effect itself:the influence of television violenceI was still under the influence of my parents[count noun] :their friends are having a bad influence on them 2 the power to shape policy or ensure favourable treatment from someone, especially through status, contacts, or wealth:the institute has considerable influence with teachers 3 [count noun] a person or thing with the capacity to have an influence on someone or something:Fiona was a good influence on her

L’influenza è quindi la capacità di qualcuno di modificare i comportamenti o le azioni altrui attraverso il proprio ascendente: ne consegue che l’influencer è colui che è in grado di esercitare un cambiamento sulle persone. Bene, ma le persone cambiano in base a quello che qualcuno dice? In base alle opinioni? In base a quello che leggono in rete?
Nonostante la maggior parte delle ricerche affermi che le persone decidono acquisti in base ai commenti o ai suggerimenti dei propri amici queste non sono che razionalizzazioni. Gli esseri umani non sono logici e razionali, ne avevo accennato al romagna camp: i nostri processi decisionali sono atti istintivi (determinati principalmente dalla lotta tra sensazioni positive e negative, dal tiro alla fune tra nucleus accumbens e insula) razionalizzati in un secondo tempo. Se ci pensate è quello che facciamo ogni giorno: leggiamo i commenti che avvallano le nostre scelte per convincere la nostra parte cognitiva (che è presente in alcuni acquisti, ma è un meccanismo molto particolare e remoto d’acquisto). Io stesso ogni tanto mi rendo conto che agisco in questo modo: mi serviva assolutamente il nuovo smartphone/tablet/accessorio, non potevo assolutamente farne a meno perché le recensioni erano positive e me ne hanno parlate bene. In teoria per ogni prodotto trovo recensioni positive o negative. Ma se le scelte sono soggettive ha senso parlare di influenza degli altri?
Va da sé che se le nostre scelte non sono legate a influssi esterni cade la tesi che vuole che ci siano persone in grado di influenzare i comportamenti degli utenti e magari fargli cambiare predisposizione verso un brand o un prodotto. Ci sono persone che ascoltiamo più delle altre, che conosciamo, che rispettiamo per il fatto che sono esperte in un determinato campo ma queste, così come i media, non hanno influenza su di noi. Se guardiamo la storia della sociologia dei media vediamo come questi perdano d’importanza nel passare degli anni: all’inizio erano onnipotenti, la teoria del magic bullet, che voleva che fossimo contenitori vuoti che i media riempivano e plasmavano a piacimento, si modifica in una realtà mediata, dove l’utente interagisce con le informazioni, che poi passa a una relazione con gli stakeholder che dovrebbero essere le nostre figure di riferimento per la determinazione delle opinioni. Una progressiva perdita d’importanza dei media e degli altri nella formazione delle idee sul mondo e delle opinioni sui prodotti che si spiega grazie alle ultime scoperte del neuromarketing e della biologia. Ma cosa dicono nello specifico queste teorie?
Lo studio del decision making sotto l’aspetto della neurobiologia e della sociobiologia è affascinante e permette di comprendere meglio alcuni aspetti del nostro comportamento quotidiano: sono stati scritti diversi testi e non possiamo esaurire qui la discussione ma possiamo fare degli esempi concreti.

  • Se una persona ha 10€ nel portafoglio sarà meno propensa a spendere di quando ne ha 50 a parità di condizioni di prodotto e prezzo, ma se invece paga con bancomat o carta di credito tende a essere più spensierato. Il distacco fisico dalla banconota evoca sensazioni spiacevoli nell’insula e quindi, a meno che l’oggetto non sia veramente necessario e il Nucleus Accumbens non riesca a vincere, l’acquisto viene rimandato;  il cervello è in grado di elaborare solo i benefici a breve termine e non i sacrifici a lungo e per questo motivo con la carta di credito e online tendiamo ad essere più disinibiti negli acquisti.
  •  Andando al supermercato, non compriamo sempre gli stessi prodotti (tralasciando le offerte) ma ogni tanto cambiamo in maniera apparentemente casuale: in realtà la parte cognitiva ha bisogno di verificare e validare le scelte fatte a livello emotivo (sono sicuro di fare la scelta migliore? Proviamo). Un altro caso in cui la mente cognitiva gioca un ruolo chiave è quando ci convinciamo della bontà o della scarsa qualità di un servizio: non c’è modo di far cambiare idea a una persona sicura di qualcosa. Tre esperienze negative con un prodotto e il suo destino è segnato: prendiamo Windows, è un sistema operativo che funziona piuttosto bene nelle sue ultime versioni, ma le esperienze negative passate rendono altamente improbabile un ritorno di coloro che lo hanno abbandonato. Da questo punto di vista Apple funziona meglio? Da un punto di vista emotivo sì: il design influisce sulla percezione ed essendo bello e costoso si diventa molto più tolleranti (io ho perdonato diverse cose al mio Mac che probabilmente mi avrebbero spinto a prendere a calci un pc). Gli acquisti sono quindi più un fatto emotivo ma anche la parte cognitiva, localizzata nella corteccia prefrontale, ha un suo ruolo di verifica e controllo.
  • Le scelte sono fatte a livello personale inconscio e si cerca una validazione esterna. Le persone, anche i nostri amici non influiscono sulle nostre scelte: anche quando le persone rispondono alle survey non dicono perché hanno fatto qualcosa, ma la ragione per la quale credono o si convincono di averla fatta. Il motivo per cui i nuovi prodotti che nascono in seguito a domande dirette falliscono miseramente è che le persone non sanno cosa vogliono e le risposte che forniscono non corrispondono ai loro bisogni, usi, desideri reali. La campagna J’Adore di Dior e una della Campbell sono state sviluppate ricorrendo alle tecniche di neuromarketing: incremento delle vendite in corrispondenza della campagna oltre il 50%. Bisogna capire il perché delle cose e non fare semplici osservazioni (da questo punto di vista meglio la behaviour analysis della semplice data analysis).

 Pensare quindi che i mercati siano conversazioni è quindi un esercizio interessante ma privo di valore reale, dato che questi sono governati più dalle nostre emozioni e queste difficilmente possono essere misurate.
Parlare quindi d’influencer e influenza non ha senso, ma a che cosa danno valore le piattaforme citate a inizio post? Klout e gli altri servizi analoghi non misurano certo l’influenza, ma possono avere una qualche utilità nel determinare quali siano le persone con un’audience ampia e mediamente attivi sui Social Network. Possiamo inoltre vedere come queste classifiche vengano usate da chi non conosce molto l’ambiente di riferimento con il quale vuole interagire mentre vengano largamente ignorate dai lavoratori di settore: raramente infatti queste possono dirci qualcosa delle competenze reali delle persone. Coinvolgendo però le persone con un ranking molto elevato, con un Klout superiore a 50 (ammettendo che sia un valore importante) nelleattività di comunicazione probabilmente riuscirò ad ottenere qualche variazione nelle vendite dato che nel mare magnum dei followers, qualche interessato all’acquisto riesco a trovarlo: alla fine si tratta di replicare le stesse logiche della televisione sulle persone, praticamente si diventa degli human mini massmedia Pescare con la dinamite però non è il miglior sistema per ottenere risultati stabili nel tempo, bisogna trovare dei sistemi e delle strategie differenti.
Avendo presente il modo in cui le persone scelgono posso andare a impostare diverse strategie online e tenere presente che:

  • Ci sono momenti in cui fare leva sul sistema emotivo e altre su quello cognitivo sia nel b2b che nel b2c. In alcune fasi precise le persone hanno bisogno di essere attirate e in altri momenti di essere convinte della bontà del proprio acquisto: sia online che offline questi aspetti devono essere tenuti in considerazione.
  • Usabilità, velocità e prezzo sono fondamentali negli acquisti online. Dato che gli acquisti sono fatti su base emotiva un’interfaccia bella e pulita che mi permetta di completare nella maniera migliore il processo è fondamentale, inoltre il processo deve essere rapido e con un prezzo che non superi il costo di un pranzo (ho ipotizzato 6,99€ come limite). In questo modo l’insula non si attiva, la mente cognitiva non entra in gioco e l’uso della carta di credito aumentano le probabilità d’acquisto degli utenti
  • L’influenza non è misurabile. Le persone compiono in autonomia le proprie scelte e al massimo possono aver bisogno di una spinta all’acquisto che può essere di diverso tipo: riuscire a trovare il giusto messaggio non è facile e richiede analisi, dati e metriche. La comunicazione non si improvvisa.

Detto questo non chiedete più di parlare con gli influencer o, se lo fate, sappiate che le attività che state svolgendo rispondono a logiche da mass media ed evitate di parlare di web 2.0, social media e co. Che sia ben chiaro: in alcuni casi raggiungere il maggior numero di persone è fondamentale, l’importante, come tutte le attività di comunicazione, è che sia definito come obiettivo iniziale senza illudersi che si tradurrà in conversion o visite o in ROI. 

 

Featured image: Close up on the pic 79/365 playing the Whisper Game – photo by Kalexanderson http://flic.kr/p/9rK4LZ

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