Gli influencer sono cucchiai



Questo post ha piu' di sei mesi. Le informazioni contenute potrebbero non essere aggiornate: ultima modifica: 1.07.12

La discussione sull’esistenza, la forza e l’utilità dei cosiddetti influencer è uno dei temi che anima spesso le discussioni di chi si occupa di Social Media e di OnLine Media Relations. La mia posizione sul tema è piuttosto radicale, ritengo infatti che non esistano persone in grado di cambiare le idee o i comportamenti dei propri follower con un post o un update; al tempo stesso ritengo che quelli che definiamo impropriamente influencer abbiano un ruolo chiave nelle strategie delle aziende e nelle decisioni d’acquisto.

Vicinanza ex-ante

La prima riflessione da fare sugli influencer è legata ai follower e sulle ragioni che spingono una persona a seguire qualcuno su twitter o su altre piattaforme. Sicuramente ci sono diversi motivi, ma possiamo identificare un elemento comune: la condivisione (o vicinanza) di interessi. Se mi interessa la politica, molto probabilmente seguirò persone che parlano di politica, se mi interessa il calcio seguirò calciatori, squadre e persone che parlano di calcio e così via: le persone che seguo tenderanno a rispecchiare i miei interessi [1].

Questa non è una novità: in passato le barriere spaziali rendevano possibili solo relazioni con persone fisicamente vicine a me. Oggi, senza questo vincolo, le relazioni si sviluppano indipendentemente dall’area di residenza, basta essere vicini come interessi o passioni: sappiamo bene come le comunità, virtuali e non, tendano a crearsi o ad aggregarsi proprio in base a questo principio.

Vediamo quindi che le persone che seguono un influencer sono già in qualche modo vicine ai valori che questo propone: da un punto di vista semiotico le persone sono già state manipolate (aderiscono già all’oggetto di valore proposto dal destinante [2]). Possiamo avere il caso opposto (ti seguo solo per insultarti perché rappresenti la mia antitesi), ma è analogo al precedente: ho già deciso a priori di non aderire alle tue idee.

Il punto chiave è l’aspetto temporale: seguo qualcuno perché ho già deciso che esiste una qualche vicinanza. Si tratta di una decisione ex-ante e questo aspetto è fondamentale: i miei comportamenti non si modificano, non cambio le mie idee o convinzioni, ma tramite l’interazione con alcune persone attivo alcune azioni che al momento sono solo allo stato potenziale (o virtuale, inteso in senso semiotico [3]): ogni persona è potenzialmente un innesco, un trigger, per determinate azioni.

Una conseguenza di questo fatto è che tutti i nostri follower sono già predisposti a compiere certe azioni che potremmo definire come “preferite” in base alla nostra area d’interesse. Tuttavia questo significa che siamo tutti influenzatori dato dato che possiamo attivare dei comportamenti nei nostri follower e questo significa che nessuno può rivendicare il primato su questo ruolo. Ma a questo punto cosa conta?

Azioni istintive e razionali

Prima di capire che cosa è veramente importante è necessario approfondire il discorso sull’influenza analizzandolo da un punto di vista strettamente più biologico.

Da un punto di vista naturale i processi decisionali sono estremamente complessi e tuttavia incredibilmente semplici: la maggior parte delle nostre scelte infatti rispondono ad una esigenza di sopravvivenza e all’incremento della fitness. Il nostro cervello infatti è ancora quello di cacciatore del paleolitico e le nostre scelte sono fatte a livello istintivo ed emotivo e razionalizzate solo in un secondo momento.[3]

Le decisioni d’acquisto sono frutto di una interazione tra la mente emotiva e la mente cognitiva. Quando acquistiamo un bene principalmente si attivano due aree: il Nucleus Accumbens o (legato al piacere) e l’Insula (aree del dolore). Queste due aree normalmente decidono la maggior parte delle nostre scelte e solo in alcuni casi si attiva la corteccia prefrontale (mente razionale). Il passaparola ha un ruolo importante (influenza in alcuni casi dal 20% al 50% le scelte d’acquisto) ma solo ed esclusivamente nel caso di prodotti nuovi o particolarmente costosi: tutto il resto sono azioni che facciamo sulla base di decisioni già prese ed esperienze già fatte.

Il fatto che le decisioni siano prese dalla componente emotiva è dovuto alla sua enorme capacità computazionale (è in grado di elaborare milioni di dati in parallelo) e alla capacità di apprendere per prove ed errori mentre la mente cognitiva non ha queste risorse (processa circa 14 informazioni al secondo).

Quando siamo online (e in generale in qualunque momento della nostra vita) dobbiamo processare migliaia e migliaia di informazioni: dati sull’ambiente fisico che ci circonda, sui device che stiamo usando, sulle azioni che stiamo facendo sullo sfondo, sull’interfaccia che scorre, sullo status update….tutto questo viene elaborato principalmente dalla parte meno razionale della mente perché quella razionale non ha abbastanza risorse da allocare.

Ad un certo punto, tra questi miliardi di dati che costituiscono in parte del rumore, l’attenzione della nostra mente (per attenzione o “engagement” si intende quando allochiamo volontariamente o involontariamente risorse cognitive su un determinato canale sensoriale) è attirata da uno stimolo particolare. È stato osservato che i meccanismi alla base di questo engagement sono gli stessi che attivano l’attenzione dei predatori ed è ovvio, dopotutto siamo biologicamente cacciatori e soprattutto informivori.

Dato che la nostra sopravvivenza dipende dalla capacità di leggere l’ambiente e di anticiparne i pericoli con un cervello a capacità limitate, uno dei rapporti che cerchiamo di ottimizzare è quello tra informazioni utili e tempo. Online questo si risolve con la selezione di fonti particolarmente “nutrienti” in grado di fornire elementi di qualità nel minor tempo possibile (e questo spiega l’importanza degli hub informativi e la reticenza delle persone a cambiare piattaforma): tutto questo però è fatto a livello inconscio, decidiamo sulla base di informazioni che nemmeno sappiamo di avere. La corteccia prefrontale si attiva raramente e spesso crea o selezione le informazioni in suo possesso per trovare una spiegazione ragionevole per decisioni già prese, ad esempio quando ci chiedono di giustificare un comportamento.

“Da quando è fan della pagina sono variate è più o meno propenso all’acquisto di un bene?” Una domanda piuttosto banale, alla base di molte survey che spiegano il potere de like, ma che non tengono conto del fatto che in molti casi zittiamo la dissonanza cognitiva, che non sappiamo perché facciamo quello che facciamo, che vogliamo dare un’immagine coerente di noi stessi. Tralasciamo il fatto che una domanda del genere sia molto ambigua perché non è possibile stabilire se il like è precedente o antecedente al consumo e se questo abbia effettivamente provocato dei cambiamenti all’interno del comportamento reale.

Questa parte sulle decisioni d’acquisto (di cui ho accennato solo i contorni) è fondamentale per comprendere ancora più a fondo che si tratta di un processo estremamente complesso e variegato ma prevalentemente istintivo.

Mini mass media

Abbiamo detto che siamo tutti potenzialmente in grado di attivare delle azioni che vengono decise a livello istintivo, ma questo porta con sé delle considerazioni importanti per quanto riguarda il rapporto che esiste tra aziende e persone online.

Se tutte le persone sono influencer, se non ho controllo sui comportamenti, se le decisioni del consumatore dipendono da n fattori sui quali non ho il controllo come posso fare attività di comunicazione nel miglior modo possibile? Mi conviene coinvolgere chi abilita un’esposizione maggiore all’interno del mio mercato o del contesto di riferimento.

Per fare chiarezza è necessario distinguere a grandi linee tra attività “one to one”, dove devo curare la singola persona, e altre “one to many” o “few to many”, dove con il minimo sforzo devo entrare in contatto con il maggior numero di persone. Vorrei concentrarmi sulle ultime: in passato le attività di comunicazione venivano gestite esclusivamente tramite mass media (più o meno generalisti) per ottimizzare il rapporto tra costi e visibilità e magari aumentare il numero delle vendite. Una campagna “one to one” sarebbe sicuramente stata più efficace ma con dei costi non sostenibili.

Oggi non è cambiato molto: le risorse sono sempre finite, si cerca sempre di ottimizzare perché alcune attività “one to one” non sono sostenibili. Tuttavia si è visto che le persone tendono a fidarsi più dei propri pari che della pubblicità: ci sono degli studi interessanti su questo tema che mostrano le informazioni vengano recepite in maniera diversa a seconda della fonte e che tutto l’ADV viene catalogato inconsciamente come poco o scarsamente credibile mentre c’è una maggior fiducia negli scambi tra pari. A questo, per ottimizzare, punto meglio coinvolgere alcune persone: gli influencer.

Abbiamo detto che non esistono persone in grado di influenzare i comportamenti, ma ci sono soggetti con un ampio seguito che possono essere considerati degli “attivatori di comportamenti latenti o potenziali” dato che i follower sono già soggetti manipolati: più che di influencer possiamo quindi parlare di “mass trigger” o “mass activator” (non ho ancora trovato un nome giusto, le proposte sono più che ben accette).

Il fatto è che questi “mass trigger” non sono altro che mini mass media con elevata capacità di attirare l’attenzione la cui massa varia dinamicamente a seconda del tema di rifermento, della piattaforma e del momento specifico. L’attenzione inoltre non è un elemento stabile, ma varia dinamicamente anche a seconda della piattaforma presa in considerazione e dal device che usa il lettore per fruire dei contenuti.

Diventa quindi evidente come per alcune attività specifiche le aziende possano intraprendere delle azioni con alcuni soggetti con un ampio seguito per attivare dei comportamenti latenti: ovviamente queste attività dovranno essere pianificate con attenzione dato che non sono solamente i numeri di follower o di mention a determinare il ruolo di “mass trigger”

Conclusioni

Alla fine una breve sintesi del percorso fatto:

  • Le persone online sviluppano legami per interesse
  • I follower sono già predisposti a compiere certe azioni o ad ascoltare certe notizie
  • I comportamenti sono principalmente istintivi e non razionali
  • Le persone ottimizzano il rapporto tra informazioni utili/tempo
  • L’engagement è la capacità di attirare l’attenzione
  • Le aziende hanno risorse limitate e devono ottimizzare il rapporto costi/risultati
  • Non esistono persone che possono modificare il comportamento
  • Tutti i soggetti possono attivare comportamenti latenti ed essere trigger
  • Dovendo ottimizzare le risorse un’azienda coinvolgerà i “mass trigger”
  • Esistono dei “mass trigger” la cui massa varia dinamicamente a seconda del tema di rifermento, della piattaforma, della posizione nella rete e del momento specifico
Sono molto interessato a commenti e a ulteriori considerazioni sul tema 🙂
Featured image: Photo by Kevin Labianco – http://flic.kr/p/owHz8
[hr]
1 Su questo punto consiglio la lettura di quanto scritto in World Wide We  by Mafe (uno dei testi di riferimento a mio avviso per capire le logiche di funzionamento delle community)
2 In semiotica si distingue tra destinante e destinatario. Queste sono due figure attanziali: il destinante è colui che propone un oggetto di valore (che è un luogo di accoglimento dei valori, non un oggetto fisico) a un destinatario che può decidere o meno di aderire a quell’OV. Durante questa fase, detta manipolazione, il destinante cerca di instaurare nel destinatario un voler fare o un dover fare in relazione a un determinato Programma Narrativo. In alcuni casi destinante e destinatario possono convergere su un unico attore (in alcuni casi anche l’anti-destinante).
3 In semiotica si distinguono tre modi di esistenza: virtuale, attuale, reale. Un Programma Narrativo (PN) è virtualizzato quando il destinante ha instaurato nel destinatario un dover o un voler fare (il soggetto ha iniziato ad aderire ai valori proposti). In questa fase il soggetto contempla l’idea di compiere l’azione, ma non ne ha ancora le capacità. La fase Attuale è quella nella quale il soggetto si dota anche del saper fare e del poter fare: in questo modo oltre alla volontà egli si dota delle conoscenze necessarie per portare a termine il compito (ma ancora non l’ha fatto). Nella fase reale avviene effettivamente la trasformazione. Per approfondire i tema consiglio quello che è stato uno dei miei testi di riferimento all’università: Maria Pia Pozzato, Semiotica del Testo, Carocci
21 replies
  1. Daniele Chieffi
    Daniele Chieffi says:

    Piero, innanzitutto complimenti. Un post di grande densità e interesse, mi vorrei prendere un po' di tempo per risponderti, fermo restando che abbraccio la maggior parte delle tesi che proponi…

    Reply
  2. Piero Tagliapietra
    Piero Tagliapietra says:

    Prima di tutto grazie per il complimento: ho cercato di sintetizzare le cose che ci siamo detti durante SOTN, quindi possiamo vederlo più come un punto di partenza ; ) Ho toccato diversi argomenti e quindi nei prossimi scambi possiamo andare ad affinare alcune discussioni ed esplorare alcune aree specifiche

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  3. Andrea Contino
    Andrea Contino says:

    Come ti dicevo di là Piero:

    Molto interessante Piero. Come scrivevo altrove mi trovo sostanzialmente d'accordo con la tua posizione e quella di Vincenzo. Gli influencer non esistono, esistono persone in grado di parlare in maniera efficace di un determinato argomento ad un determinato pubblico, in questa era meglio definiti online come follower. Questo ci rende in potenza tutti esseri in grado di influenzare un certo tipo di comportamento, mentre in atto si rientra nella cerchia di "influencer" presi in considerazione solo in base a differenti elementi di valutazione: follower (appunto), blog, n. di Retweet, like etc etc.
    Tuttavia ritengo che la questione decisionale sia molto molto complessa. Ci sono situazioni in cui è sufficiente il parere di un conoscente per prendere una decisione finale, altre in cui si va online allo sbaraglio fidandosi del parere di persone con una reputazione, autorevolezza e competenza tali da farci imboccare una strada piuttosto che un'altra. Altre volte ancora cerchiamo solo conferme per una decisione già sostanzialmente presa inconsciamente. Trovo comunque molto più proficuo per un'azienda investire in questo tipo di attività comunicative. Siamo umani, e per quanto fatti di istinti primordiali tendenzialmente ci si fida più di un proprio simile che di un banner scintillante. 😉

    Daniele Chieffi quando hai minuto provi a dare un'occhiata alle domande, graaazie! 😉

    Reply
  4. Piero Tagliapietra
    Piero Tagliapietra says:

    (incollo qui la risposta che ho dato di là :D)

    Uno degli aspetti che ritengo conti ancora di più al fine dell'acquisto o della decisione è il luogo dell'acquisto (fisico o virtuale, ma sempre il Place del marketing mix): anche se sei convinto di un acquisto ma online il processo è troppo lungo e con una grafica poco curata questo può far cambiare la tua idea, allo stesso modo in un negozio la presenza di un'offerta o di un modello analogo ma con quel "qualcosa in più" può mandare a ramengo la scelta fatta sulla consultazione degli amici 🙂

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  5. Davide 'Folletto' Casali
    Davide 'Folletto' Casali says:

    Secondo me c'è anche un problema anche di termini. Io lavoro the un bel po' in questo campo e I termini che posso trovare sono vari, the champion ad advocate a influencer.

    Ma prima, un passo indietro…

    Il problema principale sta secondo me nel fatto di pensare che possano esistere "influencer universali", ovvero delle persone che puoi usare come hub per qualunque tipo di informazione, che è una mentalità retrograda arrivata dai mass media (come anche tu fai notare). Mentalità che peraltro ha I suoi meriti, ma semplicemente funzionano solo se quello che può contattare è effettivamente un audience mass. Al di sotto della massa, diventano… ininfluenti. 🙂

    E' per quello che appunto quando si affrontano questi concetti a livello di social media e web è FONDAMENTALE capire che questi advocate vanno *trovati* all'interno del segmento di interesse, passione e piacere già esistente verso il brand, e non viceversa. Parlando in termini banalizzanti: una persona con 200 follower appassionata del brand di cui sto parlando avrà un impatto immensamente maggiore che una persona con 200.000 follower non appassionata.

    Ho visto recentemente al Social Business Summit dei numeri di confronto dove han fatto un test comparativo fra… Justin Bieber (con I suoi milioni di follower) e l'account di una persona attiva nel campo, con poche migliaia di follower. Non è una sorpresa a questo punto se vi dico che il secondo ha raggiunto migliori risultati. 😉

    Quindi, seppure non mi trovi d'accordo con la frase "non esistono persone che possono modificare il comportamento" perché di fatto esistono, il problema è capire come muoversi in modo corretto. Quello, fa una differenza abissale.

    Numero di follower, l'effetto hub e altro, contano quasi zero. 🙂

    Reply
  6. Paolo Costa
    Paolo Costa says:

    Non sono un cognitivista. Però sospetto sempre un po' di questi tentativi di descrivere il comportamento degli esseri umani come se stessimo parlando di babbuini, giraffe o pesci rossi. L'idea che I nostri atti siano governati dall'istinto, piuttosto che dalla ragione, è appunto al centro di un dibattito serrato che coinvolge cognitivisti, antropologi e filosofi. Trovo quantomeno problematiche affermazioni come la seguente:"Quando acquistiamo un bene principalmente si attivano due aree: il Nucleus Accumbens o (legato al piacere) e l’Insula (aree del dolore). Queste due aree normalmente decidono la maggior parte delle nostre scelte e solo in alcuni casi si attiva la corteccia prefrontale (mente razionale)". Siamo certi di ciò? E, comunque, lo consideriamo un fatto deterministico? Non è cioè possibile che l'individuo scarti the questo destino biologico e irrazionale? In effetti tu scrivi "pincipalmente" e "normalmente". Dunque…
    Molto persuasivo mi sembra il concetto di vicinanza ex-ante. In questo senso I social network come Facebook sono criticabilissimi: ci rinchiudono all'interno delle nostre gabbie cognitive, nutrendoci con le conferme che abbiamo richiesto, anziché turbarci con punti di vista alternativi. O, almeno, ciò è quanto fanno"principalmente" e "normalmente".

    Reply
  7. Piero Tagliapietra
    Piero Tagliapietra says:

    Forse ho calcato troppo la mano in qualche punto e ho tagliato troppo perché era troppo stava diventando troppo lungo come testo, ma condivido in parte quanto hai scritto (dipende molto da cosa intendiamo con influenza e influencer: al momento è un termine molto ambiguo a mio avviso). Gli influencer universali non esistono, ci sono soggetti particolari all'interno di nicchie specifiche che in determinati momenti scrivendo messaggi particolari possono ottenere un maggior successo nell'innescare determinate risposte

    Reply
  8. Piero Tagliapietra
    Piero Tagliapietra says:

    Sfortunatamente siamo molto più simili a babbuini, pesci rossi o giraffe di quanto non vorremmo (o ammettiamo): se prendiamo i comportamenti di predazione i modelli sono perfettamente sovrapponibili (c'è da dire che il nostro cervello è molto simile a quello di un cacciatore del paleolitico e risponde bene a determinati stimoli).

    Al momento siamo abbastanza sicuri che si attivino quelle aree (o meglio, tutti gli studi fino ad ora lo hanno mostrato, non ci sono ancora evidenze del contrario e dopo 20 anni i dati iniziano ad essere significativi). Si può anche essere contrari a questi studi, ma si tratta a quel punto di opinioni non supportate da dati : ) Ho scritto "principalmente" perché ci sono anche altre aree connesse (ad esempio cingolo anteriore, amigdala e altre diverse aree del sistema limbico). Non volevo irritare i puristi mettendo termini esclusivi 😀

    Al momento i neurobiologi stanno mostrando che alcune teorie filosofiche e antropologiche hanno dei fondamenti (ad esempio l'idea dell'habitus di Peirce è legata al meccanismo di apprendimento per prove ed errori che caratterizza il nostro cervell)

    Reply
  9. Michele Mannucci
    Michele Mannucci says:

    Rinnovo I complimenti che ti ho appena fatto su Twitter. Un post di rara lucidità e capacità di analisi fuori dal comune. Purtroppo in questo momento non ho tempo di partecipare alla discussione, sappi però che ti seguirò con grande interesse. Un caro saluto!

    Reply
  10. Piero Tagliapietra
    Piero Tagliapietra says:

    Ci ho riflettuto stanotte: alla fine non esistono gli influencer o meglio, dato che potenzialmente abbiamo tutti un ruolo nella determinazione delle scelte altrui, non esistono soggetti più influenti di altri (influencer in questo senso)

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  11. Davide 'Folletto' Casali
    Davide 'Folletto' Casali says:

    E' corretto che tutti abbiamo un ruolo nella determinazione delle scelte altrui, ed è egualmente vero che ci sono una serie di fattori elevata che determinano quello, ma ci sono fior di studi e applicazioni pratiche che mostrano i vari fattori che determinano l'influenza, a partire dagli studi famosissimi di Milgram che ha studiato l'efficacia delle figure autoritarie, a quelli sul carisma, sulla reciprocità, sulla social proof, sulla scarsità, affinità e così via. 🙂

    Sono d'accordo con te che non bisogna esagerare, ma egualmente non bisogna ignorare. 😉

    Reply
  12. Piero Tagliapietra
    Piero Tagliapietra says:

    Sì ma i risultati di di Milgram sono difficilmente replicabili in maniera "spontanea", soprattutto online (ho bisogno di poter esercitare la mia autorità in qualche modo).

    Poi scarsità, affinità etc sono indubbiamente elementi di influenza (per me place, placement e packaging sono gli elementi che influenzano maggiormente le scelte).

    Sulla pressione sociale e le dinamiche di branco aprirei un capitolo a parte per la presenza dei neuroni a specchio e per la questione della fitness: anche nell'esperimento di Milgram è ipotizzabile la mancanza di un rifiuto per non diminuire la propria fitness (ma non ci sono studi sul tema) 🙂

    Reply
  13. Davide 'Folletto' Casali
    Davide 'Folletto' Casali says:

    Per l'autorità, ci sono un sacco di contextual hints che le persone usano, anche online. Uno dei più interessanti studi che puoi trovare è quello di BJ Fogg et. al. sul trust online.

    Per il resto, siamo d'accordo ed è quanto intendevo: l'importante è trovare il bilanciamento adeguato senza né esagerare, né ignorare i fattori che inconfutabilmente esistono. 🙂

    Reply
  14. Piero Tagliapietra
    Piero Tagliapietra says:

    In effetti con la captologia apriamo tutto un altro capitolo: forse è questo il punto principale, non è possibile ridurre l'influenza a un solo aspetto dal momento che entrano in gioco numerosi fattori

    Reply
  15. Michela Cimnaghi
    Michela Cimnaghi says:

    Post complicato e "profondo" mi prendo del tempo per rileggerlo e riscrivere qui visto che su un paio di punti ho dei dubbi quasi sostanziali.

    Reply
  16. Roberta Cafarotti
    Roberta Cafarotti says:

    Mi trovo d'accordo su quasi tutta la linea.
    Ho qualche perplessità sul principio "I comportamenti sono principalmente istintivi e non razionali". Infatti I comportamenti, le decisioni come l'appeal emotivo sono conseguenze di pochi pensieri "razionali" semplici ma talmente profondi the essere applicati in automatico rendendo istintive le nostre scelte, pensieri che rappresentano il nostro modo di stare al mondo.
    Questa precisazione solo per dire che in realtà il raziocinio è alla base anche di scelte istintive. Un raziocinio the intendere come frutto di una esperienza personale diretta o indiretta: se vedo il fuoco, istintivamente tolgo la mano, ma in realtà applico un pensiero, di cui non necessariamente ho avuto esperienza diretta, che "qualcuno" mi ha saputo trasmettere, per il quale il fuoco brucia e può farmi perdere una mano.
    Questo vuol dire che gli influencer possono esistere, santoni e guru esistono: c'è chi con raziocinio si è addirittura suicidato insieme ad altri raziocinanti contravvenendo al più innato degli istinti, quello della sopravvivenza.
    Ma allora l'influencer deve essere in grado di attivare un meccanismo di convolgimento a 360 gradi, deve essere capace di modificare le nostre esperienze. Un post è allora assolutamente troppo poco.
    Ma in questo senso la tenacia nel tempo nel ribadire una tesi, la credibilità e l'affidabilità dell'influencer possono creare problemi. ma questo è vero solo se si supera il valico della realtà virtuale e si entra nella realtà reale! 🙂 (Grillo faceva tanto notizia ma non cambiava il nostro vivere, dal momento che si è presentato alle elezioni, forse non ha modificato le nostre opinioni ma ha cambiato lo scenario politico e quindi le nostre esperienze con la politica).

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