In questi anni ho avuto la possibilità di fare tanta consulenza sulla gestione dei progetti di comunicazione e marketing ad agenzie e aziende di varie dimensioni e una delle domande ricorrenti è: possiamo usare Scrum in questi contesti?
NOTA: questo post è un po’ più tecnico del solito e presuppone la conoscenza di Scrum. In estrema sintesi Scrum è uno dei framework della metodologia Agile. Esistono vari video: questa breve introduzione su YouTube può servire ad avere un’idea generale
La risposta breve? No.
Scrum è un framework fantastico che consente di fare “miracoli” quando è:
- nel giusto contesto
- è utilizzato per fare quello che è stato creato per fare.
Per cui: sei un’agenzia/unit/area alla quale è stato affidato lo sviluppo di un prodotto e sei struttuato con competenze intern[un team multidisciplinare composto da tre/sette persone con poche dipendenze esterne[/ref]e in grado di sviluppare il prodotto? Vai con Scrum.
- Sei un’agenzia alla quale affidano soprattutto progetti?
- Sei un “area” composta da una sola persona?
Se hai risposto di sì a una di queste due domande non è un problema: molto probabilmente sei una PMI come buona parte delle realtà italiane (spesso più P che M) e difficilmente riuscirai a usare Scrum in purezza.
Nelle grandi realtà (Aziende o Agenzie) è possibile usare Scrum creando dei team multidisciplinari stabili e pescando all’occorrenza dagli SME (Subject Matter Espert) per realizzare dei prodotti (che possiamo anche intendere come “grandi progetti”).
E nel resto del mondo? Condannati ai Gantt? No , ma per arrivarci bisogna fare il giro lungo.
Alcuni limiti di Scrum all’interno del contesto agenzia e mondo MarCom
Dal mio punto di vista ci sono tre limiti di contesto (che rappresentano i punti di forza del framework da un altro punto di vista):
Prodotto-centrico
Se prendiamo la Scrum Guide si vede che il focus è lo sviluppo di “prodotti”:
- Scrum is a framework for developing, delivering, and sustaining complex products.
- A framework within which people can address complex adaptive problems, while productively and creatively delivering products of the highest possible value.
- has been used to manage work on complex products
- Product Owner
- Product Backlog
- Product Increment
La discussione non è tra l’approccio a Prodotto (focus valore) vs approccio Progetto (focus piano), ma sulla tipologia di attività che vengono fatte in agenzia e nei piccoli uffici comunicazione.
Molte agenzie oggi si specializzano in alcune verticalità: social ads, google ads, CRO, SEO, e-commerce management, reputation, automation, content creation, influencer marketing etc. che rappresentano porzioni di attività più strutturate.
Stiamo quindi descrivendo un contesto di attività lontano da quello di Scrum strutturato più per progetti.
Prescrittivo
Anche se è un modello leggero da localizzare su ogni team, ci sono alcuni aspetti dai quali non puoi sfuggire e qui la criticità è legata alla dimensione e ai ruoli.
In Scrum ci sono tre ruoli con Product Owner (PO), Scrum Master (SM) e Developmen Team (DT) e a livello di dimensioni si dice che il Developmen Team è composto da tre-nove membri (o cinque più o meno due a seconda delle scuole di pensiero).
Adorando la separazione dei poteri nel diritto, credo che il bilanciamento tra i ruoli di PO, SM e DT sia geniale e, anche se è vero che SM e PO sono un ruolo e non una persona e nella Scrum Guide non si esclude che SM lavori allo sviluppo, personalmente nelle fasi iniziali credo che vadano identificare in persone diverse.
Purtroppo il Team tenderà a focalizzarsi sulla delivery e il PO Team perderà di vista il valore, lo SM Team le dinamiche: sono alcuni antipattern già visti (così come quelli introdotti dallo SM che fa anche il PO #ancheno).
Per cui mediamente abbiamo bisogno di almeno tre persone più due che, come frequentemente viene fatto notare dall’italico imprenditore, “non producono e costano”. Oltretutto in molte realtà di dimensione ridotta risulta difficile avere abbastanza persone per riuscire ad avere un team “intero”
Mancando le persone e con un focus sui progetti anche il tema dei rituali tende a venire meno. Immaginate però di dire “non facciamo il daily Scrum”: probabilmente brucerete all’inferno degli Scrummisti.
Se perdiamo ruoli e rituali Scrum ha poco senso (mentre avere mindset Agile/Lean rimane fondamentale).
Team Dedicato e Cross Funzionale
Dal momento che parliamo di Prodotti, in Scrum il Development Team è focalizzato sullo sviluppo di una sola cosa (il Prodotto) in modo da velocizzare la realizzazione di incrementi e generare il maggior valore possibile nel più breve lasso di tempo. Per fare questo lo sviluppo è realizzato da un Team Cross funzionale che contiene tutte le competenze per trasformare gli elementi del Product Backlog in Product Increment: riducendo e limitando le dipendenze esterne il Team procede più veloce (non deve aspettare risposte dagli altri Silos: ha tutto all’interno e può correre velocemente e in autonomia).
- E se lavoriamo a Progetti (come visto sopra) oltretutto dividendo il nostro tempo tra vari Progetti senza un focus esclusivo sul un Prodotto?
- E se la realizzazione di alcuni progetti richiede una costante relazione con alcuni SME, ma senza il budget per averli a tempo pieno nel DT?
I due punti qui sopra sintetizzano bene lo scenario prevalente nel mondo delle Agenzie e degli Uffici Marketing e Comunicazione delle PMI: non potendo inserire a tempo pieno dei professionisti verticali si ricorre ai freelance (un modello che a me piace molto se inserito nel giusto contesto culturale, soprattutto in Cooperativa).
Per cui abbiamo anche alcune criticità legate a dimensioni, tipologie di attività e competenze/dipendenze.
Quindi niente Scrum per le Agenzie?
Prima di tutto distinguiamo tra Agile (mindset/filosofia) e Scrum (framework/metodo):
è possibile essere Agile senza usare Scrum ed è possibile non essere Agile usando Scrum
Anche se sembra un gioco di parole ricordiamo uno degli elementi più importanti: alla base di Agile ci sono dei principi e dei valori, quello che il Lean definisce nel suo triangolo come Filosofia: la gestione dei team e dei progetti appoggia e affonda le sue radici nella cultura aziendale, gli strumenti sono una conseguenza.
Usare quindi Scrum seguendo alla lettera (o in maniera molto molto vicina all’originale) è possibile solamente per realtà di dimensione ampie e che seguono lo sviluppo di prodotti o grandi campagne (partecipando quindi a tutto lo sviluppo e non solo ricevendo il compito da fare) e che vanno a sviluppare il giusto contesto.
E tutti gli altri? A mio avviso è necessario sviluppare un po’ di tailoring , ovvero creare qualcosa su misura (che per me è la vera risposta) e prendere Scrum modificandolo senza arrivare a Scrumban. Questo dovrebbe essere l’approccio da seguire quando si cerca di adattare elementi nati nel software (e che ancora faticano a uscire dall’ambito IT/ICT) altrimenti il rischio è come quelli che cercando di usare il modello Spotify non essendo Spotify.
Un punto di partenza per Scrum in Agenzia
Un’agenzia ha una serie di Progetti (le lampadine) con dei Brief dettagliati per clienti diversi: ognuno di questi progetti avrà una serie di attività (alcune ad alto valore, alcune più urgenti, altre ancora fumose etc. etc.).
Chi definisce le attività ad alto livello e le prioritizza cross-progetto? Il PO (che rimane il massimizzatore di valore in senso esteso) che le condivide con i vari DT durante lo Sprint Planning (che in Agenzia a mio avviso a un tempo di una/due settimane).
La parte di prioritizzazione e pianificazione è fondamentale perché è qui che cerchiamo di minimizzare i danni del contest switching e del lavoro su progetti multipli: invece di passare da un’attività all’altra, avendo lavorato bene con il PO, possiamo chiudere delle attività prima di passare alle successive.
In questo caso abbiamo quindi più DT, un solo PO e un solo SM (che rimane il massimizzatore della collaborazione in senso esteso).
Alla fine dello Sprint troviamo la Review e la Retrospettiva (in questo caso obbligatoria per tutti: manteniamo alcuni elementi prescrittivi di Scrum).
Per cui cui non cambiano:
- pilastri (transparency, inspection, adaptation)
- valori (commitment, courage, focus, openness, respect)
- eventi (sprint planning, daily scrum, sprint review, sprint retrospective)
- artefatti (Backlog, DOD, Increment)
I ruoli invece subiscono una leggera modifica a mio avviso soprattutto lato PO che si trova a dover dialogare con una maggior complessità rendendo il suo ruolo più complicato di quanto già non sia . Per quanto riguarda invece lo Scrum Master si trova ad avere un maggior lavoro all’inizio che poi dovrebbe calare e consentirgli di passare il ruolo all’interno dei team o di cambiare attività e diventare un nuovo PO.
Questa ovviamente è una delle possibili modifiche ed evoluzioni (ce ne sono anche un altro paio abbastanza interessanti). In azienda, pensando alle dimensioni ridotte, è invece necessario andare a sviluppare un modello leggermente diverso.
Ma noi lo facciamo già…
Eh, ma alla fine è avere un commerciale/account e noi lo facciamo già!
Il PO non è (solo) un Account/Commerciale e, ad esempio, non cambia deadline a caso, non chiede modifiche random, non interrompe durante lo Sprint (se esiste una pagina The Account Academy ci sarà un motivo) .
È una persona che lavora con lo SM e con il DT all’interno di un contesto culturale specifico.
Ma allora basta chiamare l’Account PO ed il gioco è fatto.
Anche qui: se fosse sufficiente cambiare il nome alle cose perché si modificassero le attività sarebbe facile, ma si tratta di un cambiamento più profondo ed è anche per questo che all’inizio ho parlato di un contesto e soprattutto di mindset/cultura.
Per cui, ritornando alla domanda iniziale, anche le agenzie possono usare Scrum? In purezza è dura: con un buon cambiamento culturale, di processi e modificando alcuni aspetti e adattandolo alla proprie esigenze sì.
Lavorare da remoto o in ufficio?
/in Analisi della comunicazione, Comunicare stanca/by pierotagliaIn questo periodo si è parlato tanto di lavoro “non in un ufficio”: è stato affrontato il tema giuslavoristico, si è parlato del fatto che spesso non è “Smart” o “Agile” ma semplicemente la continuazione dell’ufficio, ma con altri mezzi (riprendendo un classico di von Clausewitz 1, ma secondo me c’è stata poca attenzione a cosa voglia dire per i team e in generale per l’organizzazione sui progetti.
Un picco di consapevolezza
L’epidemia che si è abbattuta in Italia a partire da febbraio 2020 ha costretto molte persone ad accettare che molte attività potessero essere fatte da casa (o in qualunque altro luogo) e che l’idea che l’ufficio sia il luogo della produzione sia un retaggio del passato (o quantomeno valido realmente solo per alcuni settori o per alcune professioni molto specifiche).
Prima non era possibile?
Assolutamente sì: ricordo le mie prime giornate di lavoro da remoto ancora in Hagakure nel 2010 e sicuramente anche prima qualcosa era possibile fare. Tecnologicamente parlando sono almeno 10 anni che è possibile lavorare “fuori” dall’ufficio.
Ci sono anche innumerevoli casi di successo o case studies 2: i primi tre che mi vengono in mente sono Automattic (remota fin dalle origini nel 2005), Zapier (remota anch’essa fin dalle origini nel 2011) e Buffer (sempre nel 2011 e autrice di alcuni esperimenti non indifferenti come gli Open Salaries nel 2013). E sono le prime che mi vengono in mente: probabilmente ne esistono altre centinaia (anche in Italia, non solo all’estero).
Ma quindi, se era possibile da un punto di vista tecnologico e vi erano già degli apripista, come mai si è spesso tirato il freno a mano? Il fatto che qualcosa sia possibile non lo rende automaticamente credibile e fattibile.
Dovendo trovare una ragione profonda banalmente perché è più complesso, soprattutto su tre assi (focalizzandoci sempre sul team): organizzazione, comunicazione e più in generale cultura, tre aspetti profondamente interconnessi.
Due considerazioni sull’ufficio
Vi siete mai chiesti per quale motivo i team di eSport si allenino nella stessa stanza? Si può benissimo giocare a LoL da qualunque parte del mondo, quindi perché riunirsi nello stesso spazio?
Molto semplicemente per fare in modo che una serie di persone (gruppo) diventino una squadra (team) e per fare questo è più efficace ed efficiente farlo nello stesso spazio.
Vorrei sottolineare più efficace e più efficiente: si può fare anche da remoto, ma potrebbe volerci molto più tempo e i risultati potrebbero non essere gli stessi.
Se prendiamo ad esempio anche la filosofia Agile vi è sempre stato una grande attenzione alla co-locazione del team di lavoro che emerge ad esempio nei principi:
Perché anche qui questa insistenza? Perché l’idea alla base di questa modalità di lavoro troviamo, tra le altre cose, la riduzione dell’incertezza portando un gruppo di persone a diventare un team di lavoro. Avere tutte le persone nella stessa stanza, per esempio, rende più semplici gli scambi comunicativi, in caso di dubbio il collega è disponibile per un confronto, tutti sono costantemente allineati 3.
Tornando però al team che condivide gli stessi spazi, il fatto di abitare un medesimo luogo facilita (qualora siano presenti le giuste condizioni) i passaggi all’interno del ciclo di Tuckman ed è quindi, teoricamente possibile, arrivare rapidamente al Performing.
Da remoto questo passaggio non è impossibile, ma è decisamente più difficile (in quanto la socialità è ridotta e le dinamiche//interazioni di gruppo ridotte, cosa che può portare a una minor visibilità sulle criticità tra i membri del team).
Se l’ufficio è da un lato quindi un supermercato informativo 24/7 (se ti serve qualcosa c’è il collega a disposizione), ecco che questo può nascondere tutta una serie di inefficienze che rendono difficile il lavoro da remoto:
Partiamo dall’ultimo punto: la comunicazione, croce e delizia del lavoro in ufficio. Spesso si ritiene il lavoro da casa più produttivo perché sono meno presenti le interruzioni (posto che lavorare da casa con dei bambini annulla immediatamente questa condizione), ma solo perché stiamo nascondendo il vero problema ovvero la mancanza di rispetto e una comunicazione strutturata.
La mancanza di una comunicazione completa, chiara, corretta e tempestiva rende molto, molto, molto difficile lavorare da remoto: ricevere informazioni incomplete, poco chiare, parziali e a poco tempestive (la classica opportunità delle 17.58 da consegnare la mattina dopo) è diffusa in ufficio perché, purtroppo, è più semplice da gestire.
Parlando sempre di semplicità e gestione, possiamo risalire e parlare di processi: se non c’è chiarezza su come fare le cose, l’ufficio è straordinario nel nascondere le inefficienze (tanto, come abbiamo detto poco sopra, basta interrompere un collega per trovare la risposta).
Sapere a chi rivolgersi (che è banalmente la mappatura di ruoli/competenze/capacità) e sapere cosa fare senza dover chiedere ogni volta a qualcuno sperando abbia la risposta da remoto rende molto, molto, molto difficile lavorare.
Infine, se non sono chiari i processi, se non ho organizzato il lavoro per modalità sincrone e asincrone, ecco che la valutazione della famigerata produttività difficilmente si potrà basare sui risultati, ma solo sulle ore passate davanti allo schermo.
Per cui, se l’azienda non è organizzata (o non vuole farlo) lavorare da remoto diventa quasi un incubo ed è, ancora una volta, un tema di cultura aziendale.
Ufficio vs Remoto
Se abbiamo superato la dicotomia libro vs e-book (l’abbiamo superata vero?) comprendendo che sono due strumenti differenti che rispondono a esigenze differenti, ecco che anche la contrapposizione dei luoghi perde di senso. Ovviamente bisogna valutare punti di forza e debolezza delle soluzioni, il contesto nel quale si è inseriti e trovare il bilanciamento ottimale.
Anche in Agile, lavorare da remoto è possibile, introduce delle criticità, ma è fattibile: la cosa che credo difficile è pensare che la capacità di creare legami con gli altri non sia fondamentale per lavorare su problemi complessi o su prodotti nuovi, il passaggio da Knowledge Worker a Creative Worker.
Dal mio punto di vista credo che l’ufficio da luogo di produzione sia (o stia diventando) il luogo della socialità: è il posto in cui crei legami con i colleghi, crei cultura aziendale, definisci alcune attività che da remoto sarebbero più complicate (le parole sono importanti: non sono impossibili, solo più complicate). Non è un caso se anche le aziende che da anni sono full remote abbiano una/due volte l’anno degli incontri globali dove tutti i membri dell’azienda si possono incontrare e socializzare.
Infine credo comunque che per generare valore nel modo più rapido con un team (per cui se si lavora individualmente cade tutto), il fatto di condividere uno spazio minimo due volte alla settimana sia, al momento, irrinunciabile. Se invece esistono già dei processi, una buona cultura aziendale, siamo vicini al performing come team, una inception di progetto in presenza (in quanto allargata anche ad altri Stakeholder non parte del team), e poi si può lavorare anche in full remote.
Se però pensiamo di prendere un ufficio e, senza cambiamenti, senza lavoro accessorio, portarlo magicamente da remoto il risultato è uno solo
Nel frattempo altre imprese e altri ecosistemi avranno fatto passi da gigante
Note:
Lean Presentation Design
/in Analisi della comunicazione, Comunicare stanca, Project Management/by pierotagliaPersonalmente adoro fare presentazioni 1 e recentemente, per il Freelance Day, io e Chiara abbiamo fatto una presentazione a quattro mani e, quando metti un PM con una PO succedono cose straordinarie che meritano di essere raccontate.
Il lavoro sulle slide (la parte facile)
Dopo aver concordato Argomento, Titolo e Descrizione del nostro intervento con Chiara ci siamo messi all’opera: dal momento che avremmo lavorato a distanza abbiamo optato per Google Slides (evitando in questo modo rimpalli di email e lavorando su un’unica versione condivisa).
Ci siamo dati appuntamento e in (video) presenza abbiamo inserito la copertina fornita dagli organizzatori e scelto un tema, tra quelli disponibili, con elementi che ricordassero lo stile. Poi, prima di lavorare sui contenuti, usando la prima slide e il sito, abbiamo personalizzato il tema (colori e font).
Definito lo stile era giunta l’ora dei contenuti: tempo a disposizione (25-27 minuti), scaletta, organizzazione dei temi, divisione delle slide.
A questo punto ci siamo dati appuntamento alla settimana successiva: avremmo lavorato in autonomia sulle slide e rifatto il punto. Concordata la data del prossimo incontro ognuno ha organizzato il proprio lavoro.
Martedì altro momento insieme e revisione leggera sui contenuti, ordine e qualche prima considerazione su cosa aggiungere, togliere. Definite le attività ognuno avrebbe lavorato in autonomia (provando le sue parti) e il lunedì successivo avremmo fatto una prova.
Altro incontro e prima prova: considerazioni, prendiamo qualche appunto, siamo leggermente sopra con i tempi, ripensiamo qualcosa. Appuntamento alla settimana successiva con i cronometri alla mano e slide già consegnate (5 giorni di anticipo sulle richieste degli organizzatori).
Ultimo test, 25 minuti, ci siamo: ci diamo appuntamento a sabato 24, all’una un test per il video, alle 16.30 speech, 27 minuti
Cosa c’è dietro (la parte difficile)
Io lavoro come consulente in Project Management, Chiara è una Professional Organizer: probabilmente usiamo strumenti diversi, ma condividiamo alcuni principi e soprattutto un metodo, anzi una filosofia di lavoro.
Organizzare il lavoro
Le nostre slide non hanno visto una “webex permanente”, un lavoro costantemente in presenza, ma una valutazione di cosa ci serviva (per lavorare meglio) in presenza (time boxed 2 e quando invece lavorare in maniera indipendente.
Una rappresentazione visiva è la seguente: un’alternanza di lavoro sincrono e asincrono
Nei momenti “live” lavoravamo contemporaneamente condividendo delle attività che richiedevano la presenza di entrambi, negli altri momenti ognuno dei due aveva una serie di attività da realizzare secondo la propria organizzazione, i propri impegni e le proprie preferenze (ad esempio io sono un Gufo e Chiara un’Allodola).
Sembra quasi Lavoro Agile (e non una brutta copia in digitale del lavoro in ufficio).
Metodo e disciplina
Questo modo di organizzare, fare le prove, non ce lo siamo imposto: per me e Chiara è stato naturale organizzare le attività perché fa parte, come dicevo prima, della nostra filosofia di lavoro, del modo in cui gestiamo le attività.
La buona notizia è che non siamo nati così (per lo meno io), ma che con allenamento, pratica e disciplina abbiamo trovato delle soluzioni che ci consentono di lavorare meglio. Al tempo stesso questa è anche la cattiva notizia perché non esiste uno strumento magico che consenta di gestire bene le cose: bisogna darsi un metodo di lavoro. Un metodo che non deve essere solo nostro, ma condiviso anche con le persone con le quali stiamo lavorando (immaginate se io avessi voluto lavorare in un modo e Chiara in un altro, disastro).
Come ogni gruppo di lavoro dovrebbe fare, abbiamo definito prima strumenti, pratiche e appuntamenti per definire il nostro framework (o WoW, Ways Of Working) e poi abbiamo semplicemente lavorato.
“Eh, ma per un intervento di 27 minuti, tra sincrono e asincrono, sommando le attività avete lavorato 8 ore”
Sì. E su questa osservazione due considerazioni:
Anche qui, molto Agili.
La qualità non si aggiunge
E arriviamo alla parte finale, quella più importante e difficile, ovvero quella di filosofia (che da anche il titolo al post). C’è un elemento chiave nel modo di lavorare che abbiamo deciso di utilizzare io e Chiara che possiamo riportare agli approcci Lean e Agile
Nel fare le slide, le prove, non siamo mai tornati indietro: quando si verificava un problema ci siamo fermati e abbiamo identificato la soluzione: quante volte negli uffici si finisce una presentazione e ci si accorge che il logo è vecchio? che i titoli non sono allineati? che il template non è giusto e cambiandolo bisogna rimpaginare?
La qualità di un prodotto, in questo caso una presentazione, è qualcosa che abbiamo inserito come caratteristica del nostro lavoro, non come qualcosa che è stato aggiunto dopo.
Pensiamo a quanto tempo sprechiamo nel correggere lavori fatti in maniera approssimativa e quanto invece sarebbe più interessante e produttivo lavorare meglio e dedicare quel tempo (che è finito) ad altre riflessioni e ad altre attività (anche a supporto dei colleghi).
Questo modo di lavorare, un po’ alla volta, diventa un’abitudine e difficilmente riuscirai a farne a meno per il semplice fatto che si lavora meglio e a nessuno piace lavorare male (soprattutto quando scopri quanto sia diverso e positivo il diverso approccio).
Cultura aziendale
Fare le cose giuste al primo tentativo è difficile, ma se iniziamo a non passare cose mal fatte, a fermarci qualche minuto in più, sul lungo periodo lavoreremo tutti meglio.
Non si tratta di un cambiamento facile perché questa è una tematica di cultura aziendale e non tanto di metodo o di strumenti. Se ci pensiamo bene molte scelte lavorative discendono direttamente dallo stile manageriale dell’impresa e dalla cultura dell’azieda 4A volte poi viene mitigato o ingigantito dall’attitudine personale/ref].
In un’azienda dove ti guadano male se ti fermi per una riflessione, chi si prederà del tempo per correggere? in un luogo dove “non c’è tempo” chi si sentirà autorizzato a prendersi qualche minuto in più? Se non viene data importanza al lavoro dei colleghi, quanti si prenderanno il tempo per ascoltare? E così via.
Ovviamente, per me, è un discorso molto profondo perché ha a che fare con i valori profondi di un’impresa e soprattutto con il rispetto degli altri: lasciare “le slide” in ordine in modo che qualcun altro possa lavorare meglio è rispetto per l’altro, non un semplice vezzo.
Come ha detto Deming: la qualità non si aggiunge, buona o cattiva è già nel prodotto. Per cui lavoriamo bene 🙂
Note:
Il debito tecnico nel Marketing
/in Comunicare stanca, Project Management/by pierotagliaTra le varie metafore presenti in ambito IT e sviluppo progetti, una delle mie preferite in ambito Agile è quella del “Debito Tecnico”, ovvero l’idea che si possa prendere in prestito della “qualità”, ma con un costo.
La metafora del debito tecnico è abbastanza semplice da comprendere, un po’ più difficile da quantificare: per alcuni progetti in ambito Comunicazione e Marketing risulta più facile, per altri il valore numero è una chimera. Vediamo quindi che cos’è, caratteristiche interessanti e alcuni modi per dargli un valore.
Il concetto di debito tecnico
Il concetto di Debito Tecnico è una metafora sviluppata da Ward Cunningham che illustra in maniera semplice come alcune decisioni (consapevoli o meno) sui progetti producano impatti a breve, medio e lungo periodo.
Partiamo da un progetto che possiamo sintetizzare come un percorso da un punto di partenza a un obiettivo (ovviamente non è una retta: i progetti perfettamente programmabili e senza cambiamenti in ambito IT, Marketing, Comunicazione e Digital esistono solo nel vuoto e in assenza di attrito)
Durante il nostro progetto possiamo ipotizzare una serie di attività e di momenti decisionali: sappiamo anche che esiste un percorso ottimale o che, in base a delle best practice, delle good practice o solamente per la nostra esperienza, sarebbe meglio seguire una determinata strada o fare tutta una serie di attività prima di passare alla successiva.
Se però decidiamo (o ci dimentichiamo) di saltare un passaggio, ecco che introduciamo una deviazione più o meno marcata dal nostro percorso ottimale.
Facciamo l’esempio classico della deviazione nella fase iniziale
Ovviamente possiamo avere cambiamenti e modifiche in qualunque fase
Facciamo anche qui qualche esempio
Tutte queste sono delle scelte che potrebbero avere un impatto nel futuro del progetto ed ecco entrare il concetto di Debito Tecnico e soprattutto, tra gli altri elementi, quello di interesse.
Più tempo passerà alla restituzione del debito, maggiore sarà la quota d’interesse che dovremo pagare
Un esempio di facile comprensione può essere legato allo sviluppo di un sito di WordPress:
Penso che la metafora sia abbastanza chiara a questo punto e che si possano fare esempi in tutti i campi. Prendo ad esempio anche alla cinofilia (settore al quale sono esposto indirettamente): non faccio un corso di socializzazione al cucciolo (breve) e mi ritrovo con il dover fare un corso/percorso di rieducazione (lungo) al cane adulto.
Considerazioni sul Debito Tecnico
Tipologie e origine
Il Debito Tecnico è un elemento che tende a comparire naturalmente all’interno dei progetti di Marketing e Comunicazione principalmente per quattro motivi:
Date queste premesse vediamo che ci sono varie possibilità e che normalmente vengono distribuite su una matrice con quattro settori
Per cui il Debito Tecnico non è un elemento che introduciamo sempre volontariamente nel progetto, ma possono esserci casi (legati all’ignoranza sul progetto o che sia qualcosa di completamente nuovo) dove scopriamo solo alla fine che sarebbe stato meglio fare qualcosa in maniera completamente diversa.
Gestione
Posto che credo non sia possibile fare un progetto totalmente privo di Debito Tecnico, l’elemento più importante a mio avviso è la consapevolezza di questo elemento. Possiamo infatti introdurre del Debito Tecnico nel nostro progetto di Comunicazione: il Project Manager o Il Team possono infatti valutare che, dati alcuni vincoli o alcune esigenze, sia possibile fare delle scelte sub-ottimali e introdurre qualcosa di non-perfetto o non-ideale e che si dovranno gestire le conseguenze in un secondo momento.
L’aspetto più importante dal mio punto di vista è quindi rendere visibile questo Debito che abbiamo introdotto e ripagarlo il prima possibile.
Il fatto di essere infatti consapevoli non è sufficiente, dobbiamo ricordarci che la quota d’interesse per ripagare questo debito aumenterà nel tempo. Qualora infatti si aspetti troppo si possono verificare due situazioni molto pericolose:
Stima e valore
Una delle maggiori complessità quando si parla di Debito Tecnico in ambito MarCom è dare un valore al Debito (consapevole) che stiamo introducendo: quanto ci costerà di interessi? Questa è spesso la domanda che viene fatta ed è soprattutto l’alibi che viene utilizzata per introdurlo (“la state facendo troppo grossa: dopotutto con una giornata di lavoro riuscirete a risolverlo. Dimostratemi il contrario“).
In questi anni ho visto che su alcuni progetti di comunicazione è difficile dare una quantificazione del valore del debito introdotto mentre su altri si può dare una stima legata a vari parametri: non esiste infatti la sola misura economica, ma ci possono essere anche altri Performance Indicator.
Ad esempio sul tema siti e traffico possiamo ipotizzare che un’errata migrazione di un sito possa portare a un calo del traffico tra il 40% e il 70%. Dati questi valori posso calcolare l’impatto di una determinata scelta e in alcuni casi cercare anche una quantificazione economica (rapporto visite/acquisti o visit/lead e quanto andrò a perdere).
Oppure posso vedere il CTR medio delle landing del settore nel quale sto operando e, usando questo valore come ottimale, ipotizziamo che con con delle scelte sub-ottimali raggiungeremo un valore inferiore e i nostri interessi saranno legati a questo delta.
Sull’aspetto di quantificazione al momento ho visto che si tratta più di esperienza o di un minimo di ricerca: riduciamo l’incertezza epistemica (quello che sappiamo degli eventi).
L’ideale è diventare più bravi e ricordarsi di misurarlo a valle della modifica (ci segniamo il momento in cui abbiamo introdotto del debito e scopriremo a distanza di giorni, settimane e mesi quanto ci è costato).
E quindi?
Il Debito Tecnico non è necessariamente “il male”, ma qualcosa che si spera sempre di introdurre in maniera consapevole e prudente. Gestire infatti progetti significa anche questo, gestire dei rischi (che possono essere poi gestiti o dal PM o dal Team): questi sono elementi naturali e ineliminabili dai progetti, bisogna capire come affrontarli. Fare del debito e restituirlo gradualmente può essere anche una scelta ottimale e totalmente gestibile all’interno di un team o di una campagna.
Da questo punto di vista anche nelle Retrospettive possiamo dedicare alcuni di questi eventi o parte di essi alla discussione sul debito tecnico: se si tratta di una stima dobbiamo infatti verificare se le nostre ipotesi erano corrette o se possiamo imparare qualcosa.
Anche con il debito l’ideale è migliorare costantemente nella sua gestione così come in tutti gli aspetti che riguardano i nostri team e i nostri progetti.
Note:
È possibile usare Scrum in Agenzia e nel Marketing?
/in Comunicare stanca, Project Management/by pierotagliaIn questi anni ho avuto la possibilità di fare tanta consulenza sulla gestione dei progetti di comunicazione e marketing ad agenzie e aziende di varie dimensioni e una delle domande ricorrenti è: possiamo usare Scrum in questi contesti?
NOTA: questo post è un po’ più tecnico del solito e presuppone la conoscenza di Scrum. In estrema sintesi Scrum è uno dei framework 1 della metodologia Agile. Esistono vari video: questa breve introduzione su YouTube può servire ad avere un’idea generale
La risposta breve? No.
Scrum è un framework fantastico che consente di fare “miracoli” quando è:
Per cui: sei un’agenzia/unit/area alla quale è stato affidato lo sviluppo di un prodotto e sei struttuato con competenze intern[un team multidisciplinare composto da tre/sette persone con poche dipendenze esterne[/ref]e in grado di sviluppare il prodotto? Vai con Scrum.
Se hai risposto di sì a una di queste due domande non è un problema: molto probabilmente sei una PMI come buona parte delle realtà italiane 2 (spesso più P che M) e difficilmente riuscirai a usare Scrum in purezza.
Nelle grandi realtà (Aziende o Agenzie) è possibile usare Scrum creando dei team multidisciplinari stabili e pescando all’occorrenza dagli SME (Subject Matter Espert) per realizzare dei prodotti (che possiamo anche intendere come “grandi progetti”).
E nel resto del mondo? Condannati ai Gantt? No 3, ma per arrivarci bisogna fare il giro lungo.
Alcuni limiti di Scrum all’interno del contesto agenzia e mondo MarCom
Dal mio punto di vista ci sono tre limiti di contesto (che rappresentano i punti di forza del framework da un altro punto di vista):
Prodotto-centrico
Se prendiamo la Scrum Guide si vede che il focus è lo sviluppo di “prodotti”:
Molte agenzie oggi si specializzano in alcune verticalità: social ads, google ads, CRO, SEO, e-commerce management, reputation, automation, content creation, influencer marketing etc. che rappresentano porzioni di attività più strutturate.
Stiamo quindi descrivendo un contesto di attività lontano da quello di Scrum strutturato più per progetti.
Prescrittivo
Anche se è un modello leggero da localizzare su ogni team, ci sono alcuni aspetti dai quali non puoi sfuggire e qui la criticità è legata alla dimensione e ai ruoli.
In Scrum ci sono tre ruoli con Product Owner (PO), Scrum Master (SM) e Developmen Team (DT) e a livello di dimensioni si dice che il Developmen Team è composto da tre-nove membri (o cinque più o meno due a seconda delle scuole di pensiero).
Adorando la separazione dei poteri nel diritto, credo che il bilanciamento tra i ruoli di PO, SM e DT sia geniale e, anche se è vero che SM e PO sono un ruolo e non una persona e nella Scrum Guide non si esclude che SM lavori allo sviluppo, personalmente nelle fasi iniziali credo che vadano identificare in persone diverse.
Purtroppo il Team tenderà a focalizzarsi sulla delivery e il PO Team perderà di vista il valore, lo SM Team le dinamiche: sono alcuni antipattern 4 già visti (così come quelli introdotti dallo SM che fa anche il PO #ancheno).
Per cui mediamente abbiamo bisogno di almeno tre persone più due che, come frequentemente viene fatto notare dall’italico imprenditore, “non producono e costano”. Oltretutto in molte realtà di dimensione ridotta risulta difficile avere abbastanza persone per riuscire ad avere un team “intero”
Mancando le persone e con un focus sui progetti anche il tema dei rituali tende a venire meno. Immaginate però di dire “non facciamo il daily Scrum”: probabilmente brucerete all’inferno degli Scrummisti.
Se perdiamo ruoli e rituali Scrum ha poco senso (mentre avere mindset Agile/Lean rimane fondamentale).
Team Dedicato e Cross Funzionale
Dal momento che parliamo di Prodotti, in Scrum il Development Team è focalizzato sullo sviluppo di una sola cosa (il Prodotto) in modo da velocizzare la realizzazione di incrementi e generare il maggior valore possibile nel più breve lasso di tempo. Per fare questo lo sviluppo è realizzato da un Team Cross funzionale che contiene tutte le competenze per trasformare gli elementi del Product Backlog in Product Increment: riducendo e limitando le dipendenze esterne il Team procede più veloce (non deve aspettare risposte dagli altri Silos: ha tutto all’interno e può correre velocemente e in autonomia).
I due punti qui sopra sintetizzano bene lo scenario prevalente nel mondo delle Agenzie e degli Uffici Marketing e Comunicazione delle PMI: non potendo inserire a tempo pieno dei professionisti verticali si ricorre ai freelance (un modello che a me piace molto se inserito nel giusto contesto culturale, soprattutto in Cooperativa).
Per cui abbiamo anche alcune criticità legate a dimensioni, tipologie di attività e competenze/dipendenze.
Quindi niente Scrum per le Agenzie?
Prima di tutto distinguiamo tra Agile (mindset/filosofia) e Scrum (framework/metodo):
Anche se sembra un gioco di parole ricordiamo uno degli elementi più importanti: alla base di Agile ci sono dei principi e dei valori, quello che il Lean definisce nel suo triangolo come Filosofia: la gestione dei team e dei progetti appoggia e affonda le sue radici nella cultura aziendale, gli strumenti sono una conseguenza.
Usare quindi Scrum seguendo alla lettera (o in maniera molto molto vicina all’originale) è possibile solamente per realtà di dimensione ampie e che seguono lo sviluppo di prodotti o grandi campagne (partecipando quindi a tutto lo sviluppo e non solo ricevendo il compito da fare) e che vanno a sviluppare il giusto contesto.
E tutti gli altri? A mio avviso è necessario sviluppare un po’ di tailoring , ovvero creare qualcosa su misura (che per me è la vera risposta) e prendere Scrum modificandolo 5 senza arrivare a Scrumban. Questo dovrebbe essere l’approccio da seguire quando si cerca di adattare elementi nati nel software (e che ancora faticano a uscire dall’ambito IT/ICT) altrimenti il rischio è come quelli che cercando di usare il modello Spotify non essendo Spotify.
Un punto di partenza per Scrum in Agenzia
Un’agenzia ha una serie di Progetti (le lampadine) con dei Brief dettagliati 6 per clienti diversi: ognuno di questi progetti avrà una serie di attività (alcune ad alto valore, alcune più urgenti, altre ancora fumose etc. etc.).
Chi definisce le attività ad alto livello e le prioritizza cross-progetto? Il PO (che rimane il massimizzatore di valore in senso esteso) che le condivide con i vari DT durante lo Sprint Planning (che in Agenzia a mio avviso a un tempo di una/due settimane).
La parte di prioritizzazione e pianificazione è fondamentale perché è qui che cerchiamo di minimizzare i danni del contest switching e del lavoro su progetti multipli: invece di passare da un’attività all’altra, avendo lavorato bene con il PO, possiamo chiudere delle attività prima di passare alle successive.
In questo caso abbiamo quindi più DT, un solo PO e un solo SM (che rimane il massimizzatore della collaborazione in senso esteso).
Alla fine dello Sprint troviamo la Review e la Retrospettiva (in questo caso obbligatoria per tutti: manteniamo alcuni elementi prescrittivi di Scrum).
Per cui cui non cambiano:
I ruoli invece subiscono una leggera modifica a mio avviso soprattutto lato PO che si trova a dover dialogare con una maggior complessità rendendo il suo ruolo più complicato di quanto già non sia 7. Per quanto riguarda invece lo Scrum Master si trova ad avere un maggior lavoro all’inizio che poi dovrebbe calare e consentirgli di passare il ruolo all’interno dei team o di cambiare attività e diventare un nuovo PO.
Questa ovviamente è una delle possibili modifiche ed evoluzioni (ce ne sono anche un altro paio abbastanza interessanti). In azienda, pensando alle dimensioni ridotte, è invece necessario andare a sviluppare un modello leggermente diverso.
Ma noi lo facciamo già…
Eh, ma alla fine è avere un commerciale/account e noi lo facciamo già!
Il PO non è (solo) un Account/Commerciale e, ad esempio, non cambia deadline a caso, non chiede modifiche random, non interrompe durante lo Sprint (se esiste una pagina The Account Academy ci sarà un motivo) 8.
Ma allora basta chiamare l’Account PO ed il gioco è fatto.
Anche qui: se fosse sufficiente cambiare il nome alle cose perché si modificassero le attività sarebbe facile, ma si tratta di un cambiamento più profondo ed è anche per questo che all’inizio ho parlato di un contesto e soprattutto di mindset/cultura.
Per cui, ritornando alla domanda iniziale, anche le agenzie possono usare Scrum? In purezza è dura: con un buon cambiamento culturale, di processi e modificando alcuni aspetti e adattandolo alla proprie esigenze sì.
Note:
Perché è pericoloso lavorare su più progetti
/in Comunicare stanca, Project Management/by pierotagliaOgni tanto ripropongo una tabella che mette in relazione il numero di progetti seguiti contemporaneamente e l’inefficienza: l’elemento più evidente è che al crescere dei progetti cresce l’inefficienza, ma questa è solo il punto di partenza.
Partiamo dalla tabella
Questa tabella è abbastanza famosa perché è citato in uno dei testi classici “Fare il doppio in metà tempo” di Jeff Sutherland (link affiliato Amazon 1). La prime reazioni a questa tabella sono mediamente lo sconforto e soprattutto la negazione “ah, ma io sono bravissimə a gestire più cose contemporaneamente”. Bene, facciamo un piccolo esperimento: bastano carta, penna e un telefono (mi spiace, niente colla vinilica a questo giro).
Su due righe dovrete scrivere in stampatello il vostro nome e cognome
NOME
COGNOME
Scrivete prima tutto il nome e poi tutto il cognome e cronometrate quanto ci mettete: io ho impiegato 12 secondi.
Bene, adesso scriviamo sempre nome e cognome su due righe MA alterniamo una lettera del nostro nome a una del nostro cognome
Il risultato è “praticamente” quello di prima
NOME
COGNOME
Anche qui provate a cronometrare quanto ci mettete: io ho impiegato 16 secondi.
Ci sono migliaia di varianti su questo esperimento 2, ma ampliamolo ai nostri progetti dove invece di fare azioni relativamente semplici come scrivere il nostro nome e cognome dobbiamo scrivere libri, analizzare campagne, implementare modifiche cosa succede? Un grande classico “non capisco: ho lavorato un sacco, sono stanco e oggi non ho concluso nulla”.
Perché è rischioso gestire tanti progetti contemporaneamente?
Immaginiamo per un secondo la rappresentazione teorica dei nostri progetti: in generale abbiamo un momento d’inizio (Start – A) e un momento di chiusura (Finish – B)
Cosa succede normalmente? Che abbiamo tante cose da fare e ci sono quindi tutti i nostri progetti (rappresentati da dei magnifici pacchetti azzurri) che aspettano di essere presi in carico
Il primo approccio è quello di iniziare a lavorare su tutti perché “il cliente lo vuole subito”, “mi ha chiamato l’account e dobbiamo andare avanti” e tutte quelle belle frasi che si sentono spesso sui progetti. Per cui iniziamo a lavorare contemporaneamente su tutti i progetti
Bene, cosa succederà a questo punto? Molto banalmente che inizieremo a suddividere le nostre giornate passando da una urgenza all’altra cercando di fare tutto e, banalmente, accumulando solo ritardi e sprechi.
Perché parlare di rischio? Se sei un freelance credo sia evidente: avere tanti progetti aperti e nessuno finito significa rischio finanziario perché non puoi emettere fattura se le attività non sono concluse. Un’attività aperta e non conclusa è uno spreco.
Il costo mentale di passare da una cosa all’altra è estremamente elevato: ormai c’è una significativa bibliografia in merito e non ci sono più dubbi. Pensate ad esempio al fastidio quando state lavorando, siete concentrati e un collega (o un figlio se siete in “smart working”) vi interrompe: per riprendere il filo dei pensieri ci metterete cinque, dieci minuti (a volte anche di più).
Sempre in “Fare il doppio in metà tempo” c’è un interessante aneddoto sulla correzione di bug: se corretto in giornata richiedeva un’ora, se corretto dopo tre settimane, lo stesso bug, richiedeva 24 ore. Molto banalmente perché bisogna ricordarsi e ricostruire tutto e, più passa il tempo, più è difficile.
Passare da un task/attività/progetto all’altro ha un costo molto elevato. Interrompersi e riprendere le attività (dopo aver lavorato su altro) significa iniziare con le domande tipo: cosa stavo facendo? cosa volevo dire qui? la premessa qual era? perché stavo pensando di aumentare il budget sulla campagna 5?
Da qui l’idea tanto banale quanto geniale degli Approcci Agili e soprattutto Lean
Non lavorare su tutto, ma capire cosa siamo in grado di gestire in maniera ottimale e diventare molto molto veloci nel chiudere i progetti. Il nostro obiettivo non è farci vedere impegnati (il famigerato “Facite ammuina“), ma cercare di lavorare in maniera equilibrata riducendo i rischi.
E se ho più progetti e non sono tutti azzurri? Io lavoro tanto con Agenzie e Reparti Marketing e anche in questo caso, non cambia molto, banalmente abbiamo questa situazione
Immaginiamolo nella gestione delle attività di uno specialista di Social ADV che gestisce sei campagne per cinque clienti diversi. Questa persona dovrà svolgere una serie di attività come analisi performance, controllo budget, reportistica.
Se applichiamo l’approccio “apri tutto” analizzerò le performance di tutte e sei le campagne, poi analizzerò le performance e infine farò la reportistica. Se invece utilizzo un approccio più orientato alla filosofia Agile e Lean: prendo la campagna rossa, analizzo le performance, controllo il budget, faccio il report. Poi passo alla verde, stesso ciclo, poi le azzurre e poi le gialle.
Fare in questo modo mi consente di chiudere più rapidamente e di non dover, ad esempio, in fase di report dover tornare a guardare le campagne perché mi sono dimenticato gli elementi che volevo sottolineare al cliente.
Pensiamolo anche con le slide (uno tra i grandi insegnamenti ricevuti nel 2009 in Hagakure da Cimny): invece di saltare da una slide all’altra, indice, poi qualche bozza etc. fermati e finisci ogni slide prima di passare alla successiva. Fai giusto tutto al primo colpo 3.
(se poi ti appassiona il tema facciamo dei corsi bellissimi sul Project Management in Digital Update: con questo link c’è anche un 10% di sconto per i nuovi iscritti)
Note:
Un’alternativa interessante è provare a usare due penne di colore diverso per scrivere il Nome e il Cognome e tre per le serie di numeri ↩
Ritornare alla normalità?
/in Comunicare stanca/by pierotagliaAll’annuncio della (nuova) chiusura di Palestre, Teatri, Cinema etc. ci sono rimasto male e ho iniziato a rimuginare e borbottare. C’era qualcosa che non riuscivo a mettere a fuoco: cosa mi dava veramente fastidio? Alla fine ci sono arrivato: l’idea che si possa tornare alla vecchia normalità e che a farne le spese sia chi invece è già cambiato.
Alla fine del lockdown ho ripreso ad allenarmi (come credo tutti i malati di Crossfit), ma non era come febbraio. Numero chiuso e limitato, distanziati, mascherine all’ingresso, sanificare mani prima di entrare, registro della temperatura, nessun assembramento, sanificare gli attrezzi alla fine. Ogni singola volta. Niente strette di mano o “bha-la-la-lala“. Nessuno scambio di attrezzi. Ogni singola volta.
Ma alla fine funzionava.
Due volte in questi mesi siamo usciti a cena (anche per celebrare la riapertura delle scuole: lo smart working è bello se non hai creature urlanti per casa, ma questa è un’altra storia). Non era come febbraio. Prenotazione obbligatoria, mascherine fino al tavolo, sanificazione mani all’ingresso, lontanissimi dagli altri (cosa che avrei apprezzato anche prima), menù con qr code (finalmente sono utili e diffusi). Ogni singola volta
Ma alla fine funzionava.
Ho colleghi che lavorano nel mondo dell’arte, dei live e dello spettacolo e anche li: situazione non rosea, ma riscrivendo profondamente il funzionamento, i processi e la gestione delle attività hanno trovato delle soluzioni abbastanza sostenibili e soprattutto sicure.
Poi parlo con colleghi che mi raccontano invece di un mondo che è tornato quello di prima:
Il mio fastidio è proprio per questo: l’idea che si possa tornare alla situazione precedente.
Non ti piace? Vorresti andare in giro senza mascherina?
Ma io non voglio cambiare, voglio tornare a fare la cose come prim…
Spero che il concetto sia chiaro.
Ma i bambini hanno bisogno di andare a scuola!
No. Hanno bisogno di socializzare e imparare. Con la DAD si possono fare cose egregie: se qualcuno pensa semplicemente di trasferire l’aula online facendo lezione frontale davanti a una telecamera ha sbagliato tutto. I bambini possono socializzare in altri modi? Certo, ma bisogna pensarci e riflettere, non si può replicare quello che si faceva prima.
Ma i dipendenti hanno bisogno dell’ufficio!
Al netto di chi veramente produce in un luogo, i professionisti del terziario avanzato (ok boomer) non devono andare in ufficio mediamente è un problema di management che non ha capito cosa è successo negli ultimi 40 anni. C’è da ripensare i team, i progetti, processi etc.
Ripensare spazi, processi, persone è difficile: tornare indietro sarebbe bellissimo, ma non funziona e soprattutto non succederà (a tal proposito c’è un piccolo libro di management, molto USA: “Chi ha spostato il mio formaggio” – link al libro affiliato Amazon 1
C’è chi ha capito che il mondo è cambiato, ha iniziato a correre e si è adattato e chi invece spera tutto torni come prima. È questo che mi ha dato fastidio: chiudere chi ha iniziato a correre.
Note:
Gestire progetti digitali
/in Comunicare stanca, Project Management/by pierotagliaEra proprio necessario scrivere un altro libro sulla gestione dei Progetti Digitali? Non c’erano abbastanza testi sul Project Management? Secondo me no, soprattutto in ambito Digital e Comunicazione/Marketing.
Svelerai quindi i segreti per fare tutti i progetti digitali?
No: mi spiace, niente risposta sulla vita, l’universo e tutto quanto (tanto quella rimane 42).
Il tema principale del libro è proprio questo: non è possibile rispondere alla domanda “mi dai il metodo assoluto per fare il progetto x” perché non esistono due aziende, contesti, clienti e progetti uguali e quindi non è possibile dare delle indicazioni puntuali su come fare esattamente lo sviluppo di un sito o una campagna adwords.
Ovvio che si possono dare varie opzioni che possono essere adattate allo specifico contesto aziendale.
Ma quindi è meglio Waterfall, Scrum o Kanban o Lean Startup? Nessuno ed è qui che entra in gioco il libro.
Chi si occupa dei progetti oggi (e soprattutto di quelli in ambito Digital) a mio avviso deve conoscere tutte le metodologie e scegliere quella che potrebbe funzionare meglio (anche se possiamo già sbilanciarci sul fatto che probabilmente Agile e Lean sono le due famiglie più utili).
Si tratta quindi di adottare quello che si chiama un “Agile Mindset” e di non erigersi ad araldi di un metodo, ma di scegliere quello che consente di generare il maggior valore in quel contesto specifico
Per cui nel libro parlo tanto di filosofia (che è alla base di tutto: ricordiamoci la famosissima frase di Druker “Culture eats strategy for breakfast” ) della gestione e cerco di dare una prima panoramica sui vari approcci (Predittivi, Iterativi, Incrementali, Agili e Ibridi) in modo che si riesca:
Perché leggerlo? Può servire anche a me?
Tutti noi gestiamo progetti e stiamo andando verso una Project Economy: per cui avere una rapida idea di cosa vuol dire gestire un progetto e del perché aggi si parla tanto di Agile, Scrum, Lean e Kanban (che non è Trello) per me è una competenza fondamentale.
Oltretutto ognuno di noi gestisce progetti e organizzare male l’attività significa avere persone poco motivate 2 e non riuscire a fare il progetto o non rispettare i vincoli o ridurre i margini sul progetto (o addirittura andare in perdita).
Per cui il libro serve anche a capire cosa è cambiato il Project Management negli ultimi 25 anni (da una visione ancora meccanicistica ad una più legata alla complessità e ad una visione che potremmo definire quasi Olivettiana) e come possiamo organizzare le nostre attività.
Non troverai però la soluzione migliore a livello di tool (È meglio Asana, Wricke, Monday, MS Projects, Bitrix, Miro, Kanbantool, Kananizer, Mural….), ma il processo per arrivare a trovare da solo la risposta .
Ok, dove lo trovo?
Il libro è edito Franco Angeli e qui puoi leggerne un estratto: puoi prenderlo su Amazon o da qualunque altro store o negozio fisico: sarà disponibile dal 5 marzo.
Note:
Come fare le domande agli eventi (spiegato bene)
/in Comunicare stanca, Comunicazione/by pierotagliaOgni tanto partecipo ad alcuni eventi (a volte come relatore a volte come parte del pubblico) e uno dei grandi mali che affliggono le conferenze italiane sono le domande del pubblico: gli italiani mediamente non sono in grado di fare domande.
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E quindi questo 2017? Continuo così, grazie
/in Comunicare stanca/by pierotagliaFebbraio 2018 inoltrato e finalmente riesco a sistemare quello che doveva essere il “post” bilancio 2017: direi che già questo racconta un sacco di cose sull’anno passato e anche su quello che si prospetta essere il 2018. In poche parole intenso, di corsa, pieno di cose belle e con alcuni sprazzi di equilibrio.
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Gli Influencer spiegati bene
/in Analisi della comunicazione, Comunicare stanca/by pierotagliaIn questo periodo, oltre ai fiori sugli alberi, sono spuntati una serie di articoli e post sugli Influencer il cui contenuti (volendo mantenere un inglese distacco) sono vagamente discutibili e nei quali emerge una conoscenza non sempre profonda del tema. Per cui, nella speranza di fare un po’ di chiarezza e non vedere l’anno prossimo rispuntare altri articoli con le medesime riflessioni, riprendiamo alcuni concetti base.
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