Capita spesso: un’azienda decide di rifare un qualcosa di digitale e parte la ricerca di un’agenzia o un brief al team interno.
Al primo incontro iniziano le incomprensioni: da un lato ci si aspetta che l’agenzia/team possa fare qualunque cosa dall’altro iniziano le sopracciglia alzate.
Questa criticità nasce da una generica confusione su cosa serve e cosa chiedere. Vogliamo un progetto? Un prodotto? Capire la differenza è il primo passo per non sprecare tempo, budget (soprattutto per le PMI) e capire anche quali competenze è meglio avere in casa.
C’è una domanda ricorrente che si presenta puntualmente in tutte le aule durante i corsi di Project Management e mentre lavoro con i team marketing: la famigerata domanda sulle stime di progetto. Questa domanda si presenta in vari modi: come possiamo fare stime migliori? Come facciamo a stimare? Perché le stime di progetto sono sbagliate? e varianti.
La questione stime di progetto è bellissima perché spesso parte da presupposti sbagliati e da una concezione errata di questo termine. Per migliorare le nostre stime dobbiamo partire dalle basi: che cosa è una stima?
https://i0.wp.com/www.pierotaglia.net/wp-content/uploads/2025/08/pexels-photo-3143085.jpeg?fit=1157%2C1300&ssl=113001157pierotagliahttp://www.pierotaglia.net/wp-content/uploads/2011/04/piero_ichigoichie.pngpierotaglia2025-08-19 15:57:412025-08-19 15:57:44La verità sulle stime di progetto
Come credo la maggior parte delle persone, tra le altre cose sto lavorando a diversi progetti legati all’Intelligenza Artificiale (IA o AI) legati all’ottimizzazione dei processi in ambito marketing (automazioni, agenti, low code e tutte quelle belle cose li) e, oltre a sporcarmi le mani guardo anche agli impatti più ampi e devo dire che ho notato una cosa interessante (forse banale): stiamo rendendo i processi meno efficienti.
https://i0.wp.com/www.pierotaglia.net/wp-content/uploads/2025/08/pexels-photo-17485741.jpg?fit=1733%2C1300&ssl=113001733pierotagliahttp://www.pierotaglia.net/wp-content/uploads/2011/04/piero_ichigoichie.pngpierotaglia2025-08-06 20:01:142025-08-06 20:01:18AI: può avere effetti collaterali, leggere il foglio illustrativo
Con l’introduzione dell’AI Overview nei motori di ricerca sono cambiate le abitudini delle persone e questo inizia a rispecchiarsi nelle analisi delle SERP. Ma è veramente così? Cosa è cambiato?
https://i0.wp.com/www.pierotaglia.net/wp-content/uploads/2025/07/pexels-photo-1267700.jpeg?fit=868%2C1300&ssl=11300868pierotagliahttp://www.pierotaglia.net/wp-content/uploads/2011/04/piero_ichigoichie.pngpierotaglia2025-07-05 18:17:522025-07-06 21:27:40Tra Birra e AI Overview
Se proviamo a cercare un po’ di articoli sull’Intelligenza Artificiale e il lavoro, la quasi totalità si concentra su elementi di produzione/efficienza: come creare più post, come fare più contenuti, come sviluppare nuovi agent… e anche su LinkedIn si parla della velocità di realizzazione di ricerche, contenuti e di come grazie all’AI possiamo fare più cose a parità di tempo.
Proviamo ad andare oltre questo elemento superficiale e considerare gli effetti sui Team di lavoro facendo delle ipotesi su quello che potrebbe accadere ai gruppi di lavoro in vari ambiti (soprattutto marketing, comunicazione, prodotto) partendo da alcune premesse di carattere generale.
Prima di parlare dell’impatto dell’AI sui team di lavoro sono opportune quattro premesse:
premessa sui contenuti: alla velocità di produzione non corrisponde un aumento di spazi;
premessa sulle attività: l’efficienza sulla produzione sposta l’attenzione su decisioni e priorità;
premessa sulle competenze: l’AI è una protesi magnificativa che richiede una doppia componente;
premessa sull’organizzazione: con poca chiarezza i benefici sono quasi nulli.
Premessa sui contenuti
Grazie all’evoluzione dell’Intelligenza Artificiale oggi è possibile fare più contenuti? Assolutamente sì, ma è un elemento che non dovrebbe monopolizzare le conversazioni: aumentare la produzione di contenuti non è un obiettivo, ma potrebbe essere uno strumento funzionale al raggiungimento di alcuni obiettivi, anche se improbabile.
Perché improbabile? Banalmente per tre ragioni:
Non è aumentata la quantità di tempo disponibile: abbiamo sempre 24 ore in una giornata, non abbiamo più tempo rispetto al passato e mediamente gli Italiani passano quasi due ore al giorno sui Social Media (con una leggera flessione anno su anno);
Non sono aumentati gli spazi disponibili: se il tempo speso sulle piattaforme non aumenta, lo spazio disponibile per attirare l’attenzione delle persone rimane lo stesso.
Non c’è causalità tra quantità e risultati: aumentare la quantità di post (o di budget) non si traduce necessariamente in un aumento dei risultati funzionali al raggiungimento degli obiettivi.
Se guardiamo qualche infografica ci sono già più contenuti che tempo, spazio e persone per guardarli.
Per cui riflettere su come automatizzare o aumentare la produzione di contenuti non è particolarmente interessante, bisognerebbe chiedersi sempre di più quali contenuti ha senso produrre.
Se il focus dell’AI è “produrre di più” ci stiamo concentrando sulla realizzazione di attività (o task) e anche questo non dovrebbe essere un obiettivo: se infatti ci concentriamo sul “fare cose” nel giro di alcuni mesi saremo nuovamente saturi e al punto di partenza, nuovamente stressati e con backlog lunghissimi.
There’s always more to build than we have time or resources to build – always
Le attività dovrebbero essere focalizzare sul ridurre la quantità di lavoro massimizzando l’impatto delle poche attività rimaste
Minimize output, and maximize outcome and impact
Le due frasi di Jeff Patton riportando l’attenzione a un tema che potremmo definire strategico: se oggi il costo e il tempo di realizzazione (operatività) si compattano, il focus e l’attenzione si spostano su altri elementi più decisionali sia in positivo (cosa fare) che negativo (cosa scegliere di non fare).
L’Intelligenza Artificiale consente alle persone di migliorare le proprie competenze e velocizzare alcune attività sempre da un punto di vista operativo. Migliorare non significa creare o sostituire: da questo punto di vista l’AI è una protesi estensiva e in alcuni casi magnificativa 1.
Rimanendo vicini a questo concetto e riprendendo il concetto di persona T-Shaped o π-Shaped (alcune competenze orizzontali e alcune verticali) ecco che l’AI consente di aumentare le capacità senza però diventare sostitutiva (anche se questo è uno dei desideri non detti da parte di certe organizzazioni o manager).
Realtà vs Desiderio
Con l’AI lavoratori e lavoratrici assumono una forma che ricorda più una V, ma non consente di estendere le proprie competenze (che chiameremo, come nell’immagine “non skill”).
Una maggior autonomia delle persone, grazie all’aumento delle capacità, richiede anche una riflessione sul ruolo della persona e sul lavoro stesso. Se infatti in passato la Job Description o il Ruolo erano molto legati alla componente operativa, con la perdita di rilevanza di questa ecco che i confini tra alcune professioni tendono a perdere di senso.
Possiamo dare concretezza a questo concetto con un esempio: il lavoro dello Scrittore. Se tradizionalmente siamo abituati a sottolineare la componente pratica (una persona che di lavoro scrive), nel momento in cui l’Intelligenza Artificiale riduce/semplifica la parte operativa, la dimensione del lavoro si sposta verso la parte creativa (intesa come capacità di sviluppare soluzioni emergenti).
Ad aumentare di rilevanza sono ambito e capacità di affrontare una serie di nuove sfide in contesti ignoti.
In un contesto dove il contesto VUCA si rinforza (dato che abbiamo un aumento di accelerazione e volatilità, incertezza, complessità e ambiguità) possiamo proporre una nuova metafora vicina al mondo ittico:
Pesce organizzato mangia pesce disorganizzato
Se infatti conosciamo già due frasi piuttosto famose – Pesce grande mangia pesce piccolo e pesce veloce mangia il pesce lento – oggi la componente organizzativa (non intesa come rigidità, ma come conoscenza del lavoro e capacità evolutiva) consente di massimizzare il valore delle nuove tecnologie.
Uno dei limiti che sta emergendo nell’implementazione di soluzioni legata all’AI è infatti il debito semantico, ovvero l’ambiguità su processi, ruoli, pratiche, struttura.
Nel momento in cui si vogliono ottimizzare i processi, è necessario che questi siano noti, nel momento in cui si vuole sostituire una persona, è necessario avere chiaro il ruolo etc. etc
La presenza di poca chiarezza sta generando la diffusione dei due/tre use case nell’adozione dell’AI su larga scala, con un focus sempre sulle attività e poco sugli impatti.
Sulla base di queste premesse che compongono il contesto è possibile andare a immaginare quali potrebbero essere gli impatti sui team di lavoro.
Come Team di Lavoro, appoggiandoci a Scrum, intendiamo un gruppo di persone (superiore a due e inferiore a 10) in possesso delle competenze e capacità necessarie per trasformare delle idee in incrementi.
Nel team consideriamo una eventuale presenza di Agenti AI (entità autonome o semi-autonome basata su intelligenza artificiale, sviluppata per perseguire uno o più obiettivi specifici all’interno di un ambiente definito).
Riduzione del numero di membri
Uno dei primi effetti potenziali sui team è la riduzione del numero di persone necessarie per produrre lo stesso output.
L’AI consente a singoli individui di svolgere in autonomia attività che in precedenza richiedevano il contributo di più specialisti e quindi un numero minore di persone è ora in grado di coprire un ventaglio di attività più ampio.
Aspetti positivi
Possibilità di lavorare su un numero limitato di attività
Efficienza operativa
Riduzione dei costi fissi
Comunicazione più semplice
Aspetti negativi
Aumento delle dipendenze esterne per mancanza di skill “profonde”
Incremento della superficialità data la riduzione dei punti di vista
Crescita della fragilità dato che ci sono meno ridondanze
Domanda chiave: come garantire resilienza in team più piccoli?
Team super-frazionati
Onde evitare dipendenze esterne, manteniamo un numero di persone simile al passato, ma questo team viene diviso su più progetti essendo aumentata la capacità produttiva. Ogni membro del team lavora su più stream e i team diventano sovra-estesi e multi-funzionali.
Questo è il modello adottato (spesso) nei contesti che vogliono massimizzare l’output senza ridisegnare l’organizzazione.
Aspetti positivi
Riduzione dei costi
Sviluppo di skill trasversali
Flessibilità cross-progetto
Aspetti negativi
Riduzione del deep work e aumento del content switching
Aumento dei costi organizzativi
Diminuzione della qualità per priorità concorrenti
Domanda chiave: come evitare la dispersione nei team frammentati?
Singolo Team multiprogetto
Una ulteriore possibilità è rappresentata da team stabili, strutturati, che operano contemporaneamente su più iniziative, mantenendo un’identità e una coesione interna.
A differenza dei team super-frazionati, in cui le singole persone sono coinvolte in progetti diversi spesso in contesti separati, qui il team agisce come unità unica e coerente, anche se lavora su stream paralleli. È una forma organizzativa che tenta di massimizzare l’efficienza senza perdere la cultura di team.
Aspetti positivi
Efficienza operativa
Resilienza e cultura di team
Diminuzione degli overhead rispetto a team separati
Aspetti negativi
Ambiguità decisionale
Potenziali carichi disomogenei
Dipendenza da figure di coordinamento
Domanda chiave: come generare impatto e non solo output?
TAAS – Plug and Play
Un ulteriore scenario è rappresentato da team modulari temporanei, attivati su richiesta in base a una specifica esigenza progettuale. Parliamo di team costruiti con logica Plug & Play o Team As A Service (TAAS): composti da persone interne, collaboratori esterni e, in alcuni casi, agenti AI, con l’obiettivo di rispondere rapidamente a bisogni puntuali (campagne, prodotti sperimentali, redesign, validazioni rapide).
A differenza dei team stabili o funzionali, questi team hanno una durata limitata e una missione chiara: vengono creati e sciolti in modo flessibile, spesso operando su processi già standardizzati o documentati.
Questo modello consente alle organizzazioni di reagire in modo rapido a opportunità o cambiamenti, senza dover riconfigurare l’intera struttura e richiede una forte maturità progettuale, chiarezza di obiettivi e un sistema di gestione del lavoro che consenta l’integrazione veloce dei team temporanei nel flusso complessivo.
Aspetti positivi
Massima flessibilità nella risposta ai bisogni progettuali
Attivazione rapida di competenze e capacità
Scalabilità abilitata da AI e standard operativi
Maggiore controllo sui costi variabili rispetto a team interni fissi
Aspetti negativi
Rischio di perdita di continuità e conoscenza progettuale
Maggiori costi cognitivi per integrazione e onboarding
Possibile disconnessione rispetto alla cultura e ai processi interni
Dipendenza da documentazione ben fatta e processi formalizzati
Domanda chiave:Come mantenere coerenza e qualità in team temporanei attivati su richiesta?
Note:
In Kant e l’Ornitorinco U. Eco definisce le protesi in tre macro-categorie: sostitutive (fanno quello che il corpo faceva, ma non fa più) estensive ( prolungano l’azione naturale del corpo) e magnificative (qualcosa che qualcosa che va oltre l’estensione) ↩
https://i0.wp.com/www.pierotaglia.net/wp-content/uploads/2025/06/pexels-photo-8386440.jpeg?fit=1880%2C1253&ssl=112531880pierotagliahttp://www.pierotaglia.net/wp-content/uploads/2011/04/piero_ichigoichie.pngpierotaglia2025-06-03 11:36:342025-06-03 11:36:37L’impatto dell’AI sui Team di lavoro
Quasi sempre, quando sono in agenzia o in azienda per consulenze o formazioni su processi e gestione dei progetti, nelle prime sessioni ci sono delle domande sui Gantt di progetto, famigerati strumenti di previsione progettuale. Dopo un minimo di discussione, prendiamo il Gantt e lo buttiamo con la consapevolezza che è uno strumento estremamente interessante, ma che probabilmente non fa al caso nostro. Per capire il motivo andiamo con ordine.
Il Gantt è uno strumento che ci consente di rappresentare la pianificazione di un progetto usando barre colorate: avremo quindi delle attività (sulla sinistra) con descrizione, durata, etc. e la visualizzazione su un arco temporale delle attività (sulla destra) con la possibilità di vedere dove siamo oggi (la linea tratteggiata in viola) nell’evoluzione del progetto dall’inizio alla fine.
Questo celebre strumento prende il nome dal suo creatore, Henry Laurence Gantt, che lo introdusse nel 1916 1. Questo strumento, così come altre pratiche di Project Management dei primi del ‘900, si basa sull’idea di poter spezzettare il lavoro in più parti e, misurando il tempo necessario per ogni attività, poter fare delle valutazioni e delle previsioni. Primo piccolo problema di questo strumento: il principio di visualizzare e gestire le risorse nasce con la schiavitù e l’esigenza di monitorare il lavoro 2 e nasce quindi con uno specifico contesto in mente: è uno strumento di controllo.
Al netto delle problematiche culturali (superabili), rimane una criticità: il contesto per cui è pensato questo strumento (e i necessari passaggi per costruirlo).
Il contesto del Gantt
Una delle caratteristiche della visione progettuale (e manageriale) della prima metà del novecento è la staticità del contesto aziendale.
se le attività e i mercati non cambiano nel tempo (o cambiano molto molto lentamente) ha perfettamente senso creare ex-ante una lista di tutto quello che c’è da fare;
se le attività non cambiano nel tempo e sono note è assolutamente possibile, alla luce dell’esperienza passato, poter prevedere il futuro del progetto.
Considerando questi due elementi appaiono sia i punti di forza che gli eventuali limiti di questo strumento che nasce per gestire una certa classe di progetti caratterizzati da predicibilità e scarso tasso di cambiamento (sia a livello di cambiamento dei requisiti che di contesto).
Siamo in un contesto statico? Può essere un buono strumento.
Siamo in un contesto dinamico? Può non essere un buono strumento.
Trovandomi a gestire normalmente progetti legati al marketing o ai prodotti digitali il mio contesto è tutto tranne che statico: potremmo scoprire che una certa funzionalità non è più necessaria, che un competitor ha lanciato qualcosa al quale dobbiamo rispondere, che un nuovo aggiornamento richiede lo sviluppo di nuovi content… oltretutto lavoro value driven e non guidato dal piano.
Tra piani e valore
Come detto poco sopra, il Gantt ha una caratteristica molto interessante: il fatto di distribuire su un arco temporale l’elenco dettagliato delle attività, la famigerata WBS (Word Breakdown Structure). Se abbiamo una bella Project Charter e una WBS strutturata ecco che traslare le attività su un calendario calcolando l’effort (la quantità di lavoro necessaria per realizzare l’attività) diventa semplice e se abbiamo uno strumento per allocare le persone e tenendo conto dei calendari possiamo calcolare l’elapsed 3.
Abbiamo messo in fila diversi “se” di cui due molto grandi: elenco delle attività completo e risorse disponibili. Quante volte abbiamo queste informazioni all’inizio del progetto?
Senza queste informazioni diventa molto difficile organizzare il tutto e poter avere uno strumento che ci aiuti nella gestione del progetto e nella visualizzazione del suo avanzamento. È come voler capire dove siamo durante un viaggio con una mappa disegnata secoli prima: ti mancano i riferimenti, fai fatica a capire dove ti trovi e di conseguenza quanto manca.
Inoltre, come è anche giusto che sia, se mi dai un piano il mio obiettivo è seguire quel piano e fare in modo che ci siano meno deviazioni possibili (ogni deviazione sono costi che si alzano e ritardi che si accumulano) 4. Personalmente io vivo questo approccio abbastanza male, perché ho l’idea che nel fare i progetti si debba cercare la massimizzazione del valore (e non litigare sulle CR).
Sì, ma…
Piero, come sei fiscale! Abbiamo capito che nel Gantt ci dovrebbe essere come minimo nome del task, inizio, fine, durata, predecessore e successore… ma noi non lo facciamo, facciamo una cosa più semplice e per noi funziona!
Certo che funziona, solamente non state usando un Gantt e non c’è nulla di male in questo, ma le parole sono importanti e vorrei citare un bel passaggio della Scrum Guide
While implementing only parts of Scrum is possible, the result is not Scrum.
La frase citata è delicata, ma molto importante per comprendere e valutare le attività per quello che sono: “giochiamo a calcio, ma quando vuoi puoi anche prenderla con le mani” è un bellissimo sport/gioco, ma non è Calcio.
“Facciamo Scrum, ma senza lo Scrum Master, il PO è il PM, non facciamo la Sprint Review” stai facendo una cosa probabilmente interessante, ma non è Scrum. Allo stesso modo se non stai inserendo gli elementi base di un Gantt in un Gantt non stai facendo un Gantt (lapalissiano).
Al posto del Gantt
Se il Gantt funziona molto bene in certi contesti (per cui continuerò a sostenere la validità di questo strumento) bisogna tenere conto che in altre situazione potrebbe non offrire vantaggi significativi o avere dei costi di aggiornamento/mantenimento così alti da renderlo sub-ottimale: per fortuna non è l’unico strumento esistente.
In molti casi per le agenzie o i dipartimenti marketing una meravigliosa Timeline può essere più che sufficiente: invece di scendere nel dettaglio rappresentiamo la sequenza di milestone e task in ordine cronologico5.
Se vogliamo rimanere ad alto livello, ma fornendo maggiori informazioni ecco che la Roadmap può essere un altro strumento particolarmente interessante da esplorare. È un documento più legato alla strategia (per cui ci vogliono traguardi e obiettivi) che però contiene informazioni utili legate anche agli Stakeholder e ad altre informazioni.
Niente più dettagli!
Evviva: Piero ha detto che non dobbiamo più dettagliare le attività.
Momento, momento, momento: non dobbiamo dettagliarle nella Timeline o nella Roadmap, ma questo non significa che le attività non vadano specificate insieme (valutando insieme al team quale sia il giusto livello di granularità).
Magari lo facciamo durante lo Sprint Planning (se usiamo Scrum) o in una riunione simile se usiamo un sistema Ibrido, ma per evitare ambiguità e incertezza, abbiamo bisogno di trasparenza e confronto.
Per cui Gantt mi spiace, non sei tu, sono io: i miei progetti cambiano troppo velocemente e io ho bisogno di qualcosa che mi porti valore. Speri rimarremo amici e ogni tanto potremo ancora parlare.
Note:
Datare esattamente l’introduzione di uno strumento non è mail facile, tendenzialmente possiamo essere confidenti dicendo inizio del 20° secolo, o 1910-1916 volendo restringere il periodo. Il 1916 è la data di pubblicazione del libro “Work, Wages, and Profits” in cui ne parla esplicitamente: fonte – PMI↩
Da questo punto di vista lo stesso Gantt aveva identificato alcune pratiche premianti legate al superamento delle attività base, una sorta di MBO ante litteram, riprese dalle pratiche di gestione delle piantagioni di cotone: qui un piccolo approfondimento↩
Ovviamente anche in questo caso è necessario un tool e anche se si possono disegnare cose interessanti con Excel non è per me lo strumento giusto per una gestione completa tramite Gantt ↩
Se vogliamo questa è una delle grandi diatribe tra Project Manager, persone che si occupano di gestire progetti che vengono assegnati, e Product Manager, persone che si impegnano per il successo di un prodotto. Sono due mondi vicini, ma non perfettamente sovrapposti e tendenzialmente il mondo Agile è più spostato sulle idee di Product Management ↩
Lo so che molti hanno sempre chiamato Gantt la timeline… ↩
https://i0.wp.com/www.pierotaglia.net/wp-content/uploads/2025/03/pexels-photo-10290189.jpeg?fit=1040%2C1300&ssl=113001040pierotagliahttp://www.pierotaglia.net/wp-content/uploads/2011/04/piero_ichigoichie.pngpierotaglia2025-03-31 23:14:322025-03-31 23:15:18It’s Not Me, It’s You (Gantt)
Quando insegno Project Management o lavoro in agenzia sull’ottimizzazione della gestione dei progetti arriva sempre una domanda “ma secondo te cambiando/introducendo un tool risolviamo i problemi?” con una mia risposta di base che è “gli strumenti sono importanti, ma non sperate siano la Soluzione”.
Ogni giorno una persona che lavora nel digital si alza e sa che sarà uscito un nuovo tool di AI, che i tool già esistenti avranno presentato una nuova funzionalità e che ci saranno innumerevoli post su LinkedIn che raccontano di quanto sia interessante l’ultimo Ai Agent (con tanto di “commenta e chiedi il contatto per ricevere” che ha sostituito le landing page con i whitepaper).
Se da un lato abbiamo tanto hype con alte aspettative, dall’altro c’è una domanda frequente a cui è difficile dare una risposta immediata: “come possiamo ottenere dei benefici nella nostra azienda con queste incredibili AI?”. La risposta dovrebbe essere semplice, ma non lo è per una ragione estremamente banale: spesso mancano le basi, ma andiamo con ordine.
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Come per ogni tema anche lo Smart Working è diventato oggetto di tifoseria: c’è la fazione che dice “impossibile non farlo: solo da remoto” e l’altra all’opposto “giammai: si lavora solo in presenza”. Credo che entrambe le fazioni estremiste siano nel torto e che si debba considerare lo Smart Working (inteso in senso esteso) come uno strumento da usare all’interno di una strategia precisa.
In queste primissime righe abbiamo già dato alcuni spunti importanti che consentono di valutare meglio il discorso.
Innanzitutto lo Smart Working è uno strumento e, come tale, ha aspetti positivi, negativi, punti di forza, debolezza, aree di applicazione etc. La stessa cosa si può dire del lavoro in Presenza o degli approcci Ibridi.
Se questa modalità di lavoro è uno strumento deve essere scelta sulla base di una strategia aziendale (che non può essere “non mi piace non vedere le persone”), di un contesto specifico e di una valutazione appropriata. Su questo punto a me piace una frase
The essence of strategy is choosing what not to do
Michael Porter
Non è scritto da nessuna parte che di debba lavorare in presenza o che si debba lavorare da remoto: è fondamentale essere consapevoli delle possibilità e decidere cosa perseguire e cosa invece non fare. Andiamo ora a parlare nello specifico di questi due strumenti: il lavoro in presenza e il lavoro da remoto.
Tra lavoro in presenza e remoto
Ci sono ormai numerose esperienze di successo di lavoro da remoto: come non citare Automattic (dato che siamo su WordPress), Zapier, Gitlab come casi noti (ma la lista è estremamente lunga). Abbiamo un sacco di bibliografia e indicazioni su come funziona, come realizzarla e i problemi. D’altra parte conosciamo anche molto bene il lavoro in presenza, i suoi punti di forza e le sue criticità.
Prima di passare a un’analisi di dettaglio possiamo dire che il lavoro da remoto richiede una maggior organizzazione da parte dei team (e in generale dell’impresa) mentre il lavoro in presenza consente oggi una maggior velocità per i team. Altro aspetto generale è che per le imprese che nascono “full remote” l’organizzazione è più semplice rispetto alle aziende che devono poi transitare dalla presenza al remoto.
Considerazioni sul lavoro da remoto
Come già detto è possibile avere imprese che funzionano bene e che hanno una buona cultura con persone che lavorano da remoto.
Tra i vantaggi di questa modalità sicuramente abbiamo :
un abbattimento delle barriere geografiche con la possibilità di attingere a persone e talenti di tutto il mondo;
una gestione del lavoro per obiettivi più che per tempo con un conseguente elasticità per la gestione del tempo lavorativo/personale;
un risparmio sui tempi di trasporto e un minor uso dei mezzi di trasporto.
Tra gli svantaggi possiamo invece elencare come elementi principali:
necessità di una forte organizzazione (struttura, processi e strumenti) per tutte le attività;
comunicazione e feedback meno veloci rispetto alla presenza;
la cultura è costruita e non avviene casualmente;
selezionare persone con una predisposizione adatta a questa modalità;
potenziali differenze tra dipendenti in aziende che hanno produzione e amministrazione;
gestione di contratti e stipendi in varie parti del mondo.
Questi sono alcuni elementi generali non collegati a disfunzioni (o antipattern) particolari come “da casa mi interrompono meno e lavoro di più”. In questo caso non è un problema del lavoro in presenza, ma delle modalità con le quali è stato implementato il lavoro in ufficio (tant’è che alcune persone negli ultimi anni hanno iniziato a vivere all’interno di Zoom o Webex o altri sistemi perché si è tentato di replicare quella modalità).
L’elemento più interessante (e complicato) del lavoro da remoto è sicuramente la sua organizzazione: un lavoro asincrono (che non richiede la presenza degli interlocutori in contemporanea) richiede la definizione delle modalità di lavoro e una organizzazione dei processi molto maggiore rispetto a quanto sia necessario per un lavoro in presenza (che è mediamente sincrono). Da questo punto c’è un grosso lavoro sulle modalità di lavoro e la definizione di cosa può essere sincrono e cosa asincrono.
Sul punto della comunicazione e feedback riprendiamo per un secondo i principi dell’Agile Manifesto
The most efficient and effective method of conveying information to and within a development team is face-to-face conversation
Principles behind the Agile Manifesto
Non si dice che è l’unico modo, ma che è il più efficiente: in presenza posso verificare e parlare con il collega immediatamente, da remoto è più strutturato. Se guardiamo le esperienze positive sul remote working tutti, tutti tutti dicono che è necessario aumentare la comunicazione e strutturarla: da questo punto di vista è richiesta una maggior disciplina alle persone che fanno parte di queste imprese (anche per evitare di lavorare sempre).
Mediamente le imprese che fanno remote hanno anche degli incontri periodici (di team, nazionali o globali) per andare a sviluppare alcuni elementi (es. conoscenza dei colleghi, sviluppo di progetti specifici etc.).
Un altro punto interessante e da considerare è che si può fare remote working solo per coloro che si occupano di elementi immateriali (tendenzialmente knowledge e creative worker): una buona fetta di lavori non possono essere fatti da remoto banalmente perché richiedono macchinari specifici, linee di produzione etc. Questo ovviamente rischia di creare dei dipendenti di serie A e serie B con una serie di criticità da gestire.
Considerazioni sul lavoro in presenza
Più o meno conosciamo tutti questa modalità: c’è un ufficio, un orario, un team e si va avanti così.
Anche qui guardiamo quali sono i vantaggi:
disponibilità istantanea dei colleghi e delle informazioni (supermercato informativo);
postazione di lavoro che rispetta tutte le normative e i canoni;
gestione semplice degli orari lavorativi;
apprendimento per esposizione con feedback istantaneo.
Guardiamo gli aspetti negativi sono quattro:
possibilità di attingere solo a persone geograficamente prossime;
gestione del lavoro in modalità prevalentemente sincrona;
valutazione del lavoro su base oraria e non a performance;
il supermercato informativo porta a ignorare processi, strumenti, regole e struttura.
Gli aspetti negativi sembrano meno rispetto a quelli elencati per il lavoro da remoto, ma l’ultimo punto è un elefante perché è quello che mediamente porta a tutte le disfunzioni negli uffici. Il “management by crisis”, “lavoro da casa perché qui è un casino”, “hai due minuti?” e in generale molto dell’odio verso il lavoro in presenza nascono da questo ultimo punto.
Se infatti l’impresa remota ha la necessità di darsi processi, strumenti, disciplina etc. questi aspetti mediamente nel lavoro in presenza non vengono sempre strutturati poiché è molto facile sopperire alla presenza:
Non c’è documentazione? Vai a chiedere al collega. Non sai come si fa una cosa? Vai a chiedere alla collega.
Credo che la maggior parte delle persone che hanno lavorato in ufficio abbiano vissuto esperienze di questo tipo: alla mancanza di organizzazione si sopperisce interrompendo o comunicando.
Da questo punto di vista è interessante notare come spesso si creda che sia più facile creare cultura aziendale in presenza, ma in mancanza di processi, regole etc. la cultura aziendale diventa “la disorganizzazione”, cosa che come abbiamo visto non può accadere da remoto (per i vincoli di questa modalità).
Dovendo però ricordare un aspetto positivo dei team co-locati (visto in negativo nel lavoro da remoto) ovviamente abbiamo la velocità di feedback e comunicazione (ammesso che vi siano dei processi e non mero casino). Pensiamo agli ultimi due anni: ancora oggi si perdono minuti su minuti per webcam che non funzionano, “scusa sei in muto”, “spengo il video perché sono in macchina”.
E le modalità ibride? In questi anni ho lavorato con tanti team e ho visto le reazioni e i commenti di altri colleghi: mediamente con le attività ibride ti viene voglia di colpire i partecipanti con il PMBOK® (sesta edizione) banalmente perché nella maggior parte dei casi, invece di prendere il meglio dei due mondi, si prende il peggio.
La modalità ibrida richiede l’organizzazione del lavoro da remoto (e la sua disciplina) unita alla pianificazione delle attività in presenza: ci sono casi in cui funziona (ed è bellissimo lavorare con quei team), altri in cui ti viene voglia di tornare in presenza.
Un confronto
Andiamo ora a confrontare alcuni degli aspetti elencati in precedenza per vedere le differenze tra le due modalità (ovviamente su elementi generali e non su approcci specifici)
Lavoro in presenza
Lavoro da remoto
Modalità di lavoro
Prevalentemente in maniera sincrona
Prevalentemente in maniera asincrona
Persone
Posso attingere alle persone e ai talenti che geograficamente sono vicine (o aggiungere i costi di spostamento)
Posso lavorare con le persone di miglior talento indipendentemente da dove vivono
Formazione
Le persone apprendono per prossimità con i colleghi e con sessioni ad hoc
Formazione individuale e con sessioni ad hoc
Innovazione
Maggior possibilità di contaminazione anche casuale
Strutturata e con processi
Spazi
La postazione di lavoro è uguale per tutti e rispetta alcune norme di base
Ogni persona organizza o sceglie i suoi spazi
Comunicazione
Risorse immediatamente disponibili con massima banda
Strutturata e con processi e con banda limitata
Feedback
Possibilità di interazione e verifica istantanea
Strutturata e con processi
Tipologia di lavoro
Materiale e immateriale
Immateriale
Gestione del tempo
Organizzata secondo orari specifici
Libertà di organizzazione
Cosa fare?
Ogni impresa, a seconda del suo contesto e della sua strategia, sceglierà la modalità che consente di raggiungere al meglio i suoi obiettivi anche passando per approcci ibridi (che risultano ancora più complesse per certi versi).
Prendiamo Tesla per analizzare un caso. Recentemente si è parlato della scelta di tornare in presenza da parte di Musk: a cosa si deve questa decisione? Non a un capriccio, ma ad una precisa visione: Tesla ha come elemento cardine la velocità. Da questo elemento a cascata la scelta degli strumenti e di conseguenza un ritorno alla presenza: essendoci un prodotto fisico (materiale) al quale si legano anche componenti software (immateriali) e volendo implementare dei feedback istantanei, la scelta è quasi obbligata. Su questo punto per chi vuole approfondire c’è una intervista a Joe Justice su Agile FM
Attenzione poiché questa strategia si applica solamente in quel contesto che ha una organizzazione molto particolare e una visione specifica: non è possibile prenderla come unica soluzione e pensare di poterla implementare in altre realtà analoghe. Come sempre è molto più complesso.
Per cui oggi non è tanto una discussione su “lavoriamo da remoto” o “lavoriamo in presenza”, ma come sempre tornano alcune domande chiave: cosa vogliamo fare? come vogliamo farlo? qual è la soluzione ottimale? Sulla base delle risposte scegliere.
https://i0.wp.com/www.pierotaglia.net/wp-content/uploads/2022/07/pexels-photo-1314410.jpeg?fit=1880%2C1253&ssl=112531880pierotagliahttp://www.pierotaglia.net/wp-content/uploads/2011/04/piero_ichigoichie.pngpierotaglia2022-07-24 13:00:212022-07-24 14:42:58Qualche spunto per parlare di Smart Working
Durante i corsi e le consulenze in agenzia, puntualmente la domanda arriva: perché prendi le certificazioni sul Project Management e soprattutto sull’Agile e Scrum? Servono davvero? Qui le mie considerazioni assolutamente personali partendo da una panoramica sulle certificazioni, a cosa servono e perché le prendo.