futuristic abstract maze with colorful lights

Tra progetti e prodotti digitali

Capita spesso: un’azienda decide di rifare un qualcosa di digitale e parte la ricerca di un’agenzia o un brief al team interno.

Al primo incontro iniziano le incomprensioni: da un lato ci si aspetta che l’agenzia/team possa fare qualunque cosa dall’altro iniziano le sopracciglia alzate.

Questa criticità nasce da una generica confusione su cosa serve e cosa chiedere. Vogliamo un progetto? Un prodotto? Capire la differenza è il primo passo per non sprecare tempo, budget (soprattutto per le PMI) e capire anche quali competenze è meglio avere in casa.

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close up photo of yellow tape measure

La verità sulle stime di progetto

C’è una domanda ricorrente che si presenta puntualmente in tutte le aule durante i corsi di Project Management e mentre lavoro con i team marketing: la famigerata domanda sulle stime di progetto. Questa domanda si presenta in vari modi: come possiamo fare stime migliori? Come facciamo a stimare? Perché le stime di progetto sono sbagliate? e varianti.

La questione stime di progetto è bellissima perché spesso parte da presupposti sbagliati e da una concezione errata di questo termine. Per migliorare le nostre stime dobbiamo partire dalle basi: che cosa è una stima?

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an artist s illustration of artificial intelligence ai this image visualises the benefits and flaws of large language models it was created by tim west as part of the visualising ai pr

AI: può avere effetti collaterali, leggere il foglio illustrativo

Come credo la maggior parte delle persone, tra le altre cose sto lavorando a diversi progetti legati all’Intelligenza Artificiale (IA o AI) legati all’ottimizzazione dei processi in ambito marketing (automazioni, agenti, low code e tutte quelle belle cose li) e, oltre a sporcarmi le mani guardo anche agli impatti più ampi e devo dire che ho notato una cosa interessante (forse banale): stiamo rendendo i processi meno efficienti.

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robot pointing on a wall

L’impatto dell’AI sui Team di lavoro

Se proviamo a cercare un po’ di articoli sull’Intelligenza Artificiale e il lavoro, la quasi totalità si concentra su elementi di produzione/efficienza: come creare più post, come fare più contenuti, come sviluppare nuovi agent… e anche su LinkedIn si parla della velocità di realizzazione di ricerche, contenuti e di come grazie all’AI possiamo fare più cose a parità di tempo.

Proviamo ad andare oltre questo elemento superficiale e considerare gli effetti sui Team di lavoro facendo delle ipotesi su quello che potrebbe accadere ai gruppi di lavoro in vari ambiti (soprattutto marketing, comunicazione, prodotto) partendo da alcune premesse di carattere generale.

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Quattro premesse

Prima di parlare dell’impatto dell’AI sui team di lavoro sono opportune quattro premesse:

  • premessa sui contenuti: alla velocità di produzione non corrisponde un aumento di spazi;
  • premessa sulle attività: l’efficienza sulla produzione sposta l’attenzione su decisioni e priorità;
  • premessa sulle competenze: l’AI è una protesi magnificativa che richiede una doppia componente;
  • premessa sull’organizzazione: con poca chiarezza i benefici sono quasi nulli.

Premessa sui contenuti

Grazie all’evoluzione dell’Intelligenza Artificiale oggi è possibile fare più contenuti? Assolutamente sì, ma è un elemento che non dovrebbe monopolizzare le conversazioni: aumentare la produzione di contenuti non è un obiettivo, ma potrebbe essere uno strumento funzionale al raggiungimento di alcuni obiettivi, anche se improbabile.

Perché improbabile? Banalmente per tre ragioni:

  1. Non è aumentata la quantità di tempo disponibile: abbiamo sempre 24 ore in una giornata, non abbiamo più tempo rispetto al passato e mediamente gli Italiani passano quasi due ore al giorno sui Social Media (con una leggera flessione anno su anno);
  2. Non sono aumentati gli spazi disponibili: se il tempo speso sulle piattaforme non aumenta, lo spazio disponibile per attirare l’attenzione delle persone rimane lo stesso.
  3. Non c’è causalità tra quantità e risultati: aumentare la quantità di post (o di budget) non si traduce necessariamente in un aumento dei risultati funzionali al raggiungimento degli obiettivi.

Se guardiamo qualche infografica ci sono già più contenuti che tempo, spazio e persone per guardarli.

Per cui riflettere su come automatizzare o aumentare la produzione di contenuti non è particolarmente interessante, bisognerebbe chiedersi sempre di più quali contenuti ha senso produrre.

Approfondimenti sul contesto:

Premessa sulle attività

Se il focus dell’AI è “produrre di più” ci stiamo concentrando sulla realizzazione di attività (o task) e anche questo non dovrebbe essere un obiettivo: se infatti ci concentriamo sul “fare cose” nel giro di alcuni mesi saremo nuovamente saturi e al punto di partenza, nuovamente stressati e con backlog lunghissimi.

There’s always more to build than we have time or resources to build – always

Le attività dovrebbero essere focalizzare sul ridurre la quantità di lavoro massimizzando l’impatto delle poche attività rimaste

Minimize output, and maximize outcome and impact

Le due frasi di Jeff Patton riportando l’attenzione a un tema che potremmo definire strategico: se oggi il costo e il tempo di realizzazione (operatività) si compattano, il focus e l’attenzione si spostano su altri elementi più decisionali sia in positivo (cosa fare) che negativo (cosa scegliere di non fare).

Approfondimenti sul contesto:

Premessa sulle competenze

L’Intelligenza Artificiale consente alle persone di migliorare le proprie competenze e velocizzare alcune attività sempre da un punto di vista operativo. Migliorare non significa creare o sostituire: da questo punto di vista l’AI è una protesi estensiva e in alcuni casi magnificativa 1.

Rimanendo vicini a questo concetto e riprendendo il concetto di persona T-Shaped o π-Shaped (alcune competenze orizzontali e alcune verticali) ecco che l’AI consente di aumentare le capacità senza però diventare sostitutiva (anche se questo è uno dei desideri non detti da parte di certe organizzazioni o manager).

Realtà vs Desiderio

Con l’AI lavoratori e lavoratrici assumono una forma che ricorda più una V, ma non consente di estendere le proprie competenze (che chiameremo, come nell’immagine “non skill”).

Una maggior autonomia delle persone, grazie all’aumento delle capacità, richiede anche una riflessione sul ruolo della persona e sul lavoro stesso. Se infatti in passato la Job Description o il Ruolo erano molto legati alla componente operativa, con la perdita di rilevanza di questa ecco che i confini tra alcune professioni tendono a perdere di senso.

Possiamo dare concretezza a questo concetto con un esempio: il lavoro dello Scrittore. Se tradizionalmente siamo abituati a sottolineare la componente pratica (una persona che di lavoro scrive), nel momento in cui l’Intelligenza Artificiale riduce/semplifica la parte operativa, la dimensione del lavoro si sposta verso la parte creativa (intesa come capacità di sviluppare soluzioni emergenti).

Ad aumentare di rilevanza sono ambito e capacità di affrontare una serie di nuove sfide in contesti ignoti.

Approfondimenti sul contesto:

Premessa sull’organizzazione

In un contesto dove il contesto VUCA si rinforza (dato che abbiamo un aumento di accelerazione e volatilità, incertezza, complessità e ambiguità) possiamo proporre una nuova metafora vicina al mondo ittico:

Pesce organizzato mangia pesce disorganizzato

Se infatti conosciamo già due frasi piuttosto famose – Pesce grande mangia pesce piccolo e pesce veloce mangia il pesce lento – oggi la componente organizzativa (non intesa come rigidità, ma come conoscenza del lavoro e capacità evolutiva) consente di massimizzare il valore delle nuove tecnologie.

Uno dei limiti che sta emergendo nell’implementazione di soluzioni legata all’AI è infatti il debito semantico, ovvero l’ambiguità su processi, ruoli, pratiche, struttura.

Nel momento in cui si vogliono ottimizzare i processi, è necessario che questi siano noti, nel momento in cui si vuole sostituire una persona, è necessario avere chiaro il ruolo etc. etc

La presenza di poca chiarezza sta generando la diffusione dei due/tre use case nell’adozione dell’AI su larga scala, con un focus sempre sulle attività e poco sugli impatti.

Approfondimenti sul contesto:

Team e AI

Sulla base di queste premesse che compongono il contesto è possibile andare a immaginare quali potrebbero essere gli impatti sui team di lavoro.

Come Team di Lavoro, appoggiandoci a Scrum, intendiamo un gruppo di persone (superiore a due e inferiore a 10) in possesso delle competenze e capacità necessarie per trasformare delle idee in incrementi.

Nel team consideriamo una eventuale presenza di Agenti AI (entità autonome o semi-autonome basata su intelligenza artificiale, sviluppata per perseguire uno o più obiettivi specifici all’interno di un ambiente definito).

Riduzione del numero di membri

Uno dei primi effetti potenziali sui team è la riduzione del numero di persone necessarie per produrre lo stesso output.

L’AI consente a singoli individui di svolgere in autonomia attività che in precedenza richiedevano il contributo di più specialisti e quindi un numero minore di persone è ora in grado di coprire un ventaglio di attività più ampio.

Aspetti positivi

  • Possibilità di lavorare su un numero limitato di attività
  • Efficienza operativa
  • Riduzione dei costi fissi
  • Comunicazione più semplice

Aspetti negativi

  • Aumento delle dipendenze esterne per mancanza di skill “profonde”
  • Incremento della superficialità data la riduzione dei punti di vista
  • Crescita della fragilità dato che ci sono meno ridondanze

Domanda chiave: come garantire resilienza in team più piccoli?

Team super-frazionati

Onde evitare dipendenze esterne, manteniamo un numero di persone simile al passato, ma questo team viene diviso su più progetti essendo aumentata la capacità produttiva. Ogni membro del team lavora su più stream e i team diventano sovra-estesi e multi-funzionali.

Questo è il modello adottato (spesso) nei contesti che vogliono massimizzare l’output senza ridisegnare l’organizzazione.

Aspetti positivi

  • Riduzione dei costi
  • Sviluppo di skill trasversali
  • Flessibilità cross-progetto

Aspetti negativi

  • Riduzione del deep work e aumento del content switching
  • Aumento dei costi organizzativi
  • Diminuzione della qualità per priorità concorrenti

Domanda chiave: come evitare la dispersione nei team frammentati?

Singolo Team multiprogetto

Una ulteriore possibilità è rappresentata da team stabili, strutturati, che operano contemporaneamente su più iniziative, mantenendo un’identità e una coesione interna.

A differenza dei team super-frazionati, in cui le singole persone sono coinvolte in progetti diversi spesso in contesti separati, qui il team agisce come unità unica e coerente, anche se lavora su stream paralleli. È una forma organizzativa che tenta di massimizzare l’efficienza senza perdere la cultura di team.

Aspetti positivi

  • Efficienza operativa
  • Resilienza e cultura di team
  • Diminuzione degli overhead rispetto a team separati

Aspetti negativi

  • Ambiguità decisionale
  • Potenziali carichi disomogenei
  • Dipendenza da figure di coordinamento

Domanda chiave: come generare impatto e non solo output?

TAAS – Plug and Play

Un ulteriore scenario è rappresentato da team modulari temporanei, attivati su richiesta in base a una specifica esigenza progettuale. Parliamo di team costruiti con logica Plug & Play o Team As A Service (TAAS): composti da persone interne, collaboratori esterni e, in alcuni casi, agenti AI, con l’obiettivo di rispondere rapidamente a bisogni puntuali (campagne, prodotti sperimentali, redesign, validazioni rapide).

A differenza dei team stabili o funzionali, questi team hanno una durata limitata e una missione chiara: vengono creati e sciolti in modo flessibile, spesso operando su processi già standardizzati o documentati.

Questo modello consente alle organizzazioni di reagire in modo rapido a opportunità o cambiamenti, senza dover riconfigurare l’intera struttura e richiede una forte maturità progettuale, chiarezza di obiettivi e un sistema di gestione del lavoro che consenta l’integrazione veloce dei team temporanei nel flusso complessivo.

Aspetti positivi

  • Massima flessibilità nella risposta ai bisogni progettuali
  • Attivazione rapida di competenze e capacità
  • Scalabilità abilitata da AI e standard operativi
  • Maggiore controllo sui costi variabili rispetto a team interni fissi

Aspetti negativi

  • Rischio di perdita di continuità e conoscenza progettuale
  • Maggiori costi cognitivi per integrazione e onboarding
  • Possibile disconnessione rispetto alla cultura e ai processi interni
  • Dipendenza da documentazione ben fatta e processi formalizzati

Domanda chiave: Come mantenere coerenza e qualità in team temporanei attivati su richiesta?

Note:

  1. In Kant e l’Ornitorinco U. Eco definisce le protesi in tre macro-categorie: sostitutive (fanno quello che il corpo faceva, ma non fa più) estensive ( prolungano l’azione naturale del corpo) e magnificative (qualcosa che qualcosa che va oltre l’estensione)
green hedge maze

It’s Not Me, It’s You (Gantt)

Quasi sempre, quando sono in agenzia o in azienda per consulenze o formazioni su processi e gestione dei progetti, nelle prime sessioni ci sono delle domande sui Gantt di progetto, famigerati strumenti di previsione progettuale. Dopo un minimo di discussione, prendiamo il Gantt e lo buttiamo con la consapevolezza che è uno strumento estremamente interessante, ma che probabilmente non fa al caso nostro. Per capire il motivo andiamo con ordine.

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Un minimo di Storia del Gantt

Il Gantt è uno strumento che ci consente di rappresentare la pianificazione di un progetto usando barre colorate: avremo quindi delle attività (sulla sinistra) con descrizione, durata, etc. e la visualizzazione su un arco temporale delle attività (sulla destra) con la possibilità di vedere dove siamo oggi (la linea tratteggiata in viola) nell’evoluzione del progetto dall’inizio alla fine.

Questo celebre strumento prende il nome dal suo creatore, Henry Laurence Gantt, che lo introdusse nel 1916 1. Questo strumento, così come altre pratiche di Project Management dei primi del ‘900, si basa sull’idea di poter spezzettare il lavoro in più parti e, misurando il tempo necessario per ogni attività, poter fare delle valutazioni e delle previsioni. Primo piccolo problema di questo strumento: il principio di visualizzare e gestire le risorse nasce con la schiavitù e l’esigenza di monitorare il lavoro 2 e nasce quindi con uno specifico contesto in mente: è uno strumento di controllo.

Al netto delle problematiche culturali (superabili), rimane una criticità: il contesto per cui è pensato questo strumento (e i necessari passaggi per costruirlo).

Il contesto del Gantt

Una delle caratteristiche della visione progettuale (e manageriale) della prima metà del novecento è la staticità del contesto aziendale.

  • se le attività e i mercati non cambiano nel tempo (o cambiano molto molto lentamente) ha perfettamente senso creare ex-ante una lista di tutto quello che c’è da fare;
  • se le attività non cambiano nel tempo e sono note è assolutamente possibile, alla luce dell’esperienza passato, poter prevedere il futuro del progetto.

Considerando questi due elementi appaiono sia i punti di forza che gli eventuali limiti di questo strumento che nasce per gestire una certa classe di progetti caratterizzati da predicibilità e scarso tasso di cambiamento (sia a livello di cambiamento dei requisiti che di contesto).

  • Siamo in un contesto statico? Può essere un buono strumento.
  • Siamo in un contesto dinamico? Può non essere un buono strumento.

Trovandomi a gestire normalmente progetti legati al marketing o ai prodotti digitali il mio contesto è tutto tranne che statico: potremmo scoprire che una certa funzionalità non è più necessaria, che un competitor ha lanciato qualcosa al quale dobbiamo rispondere, che un nuovo aggiornamento richiede lo sviluppo di nuovi content… oltretutto lavoro value driven e non guidato dal piano.

Tra piani e valore

Come detto poco sopra, il Gantt ha una caratteristica molto interessante: il fatto di distribuire su un arco temporale l’elenco dettagliato delle attività, la famigerata WBS (Word Breakdown Structure). Se abbiamo una bella Project Charter e una WBS strutturata ecco che traslare le attività su un calendario calcolando l’effort (la quantità di lavoro necessaria per realizzare l’attività) diventa semplice e se abbiamo uno strumento per allocare le persone e tenendo conto dei calendari possiamo calcolare l’elapsed 3.

Abbiamo messo in fila diversi “se” di cui due molto grandi: elenco delle attività completo e risorse disponibili. Quante volte abbiamo queste informazioni all’inizio del progetto?

Senza queste informazioni diventa molto difficile organizzare il tutto e poter avere uno strumento che ci aiuti nella gestione del progetto e nella visualizzazione del suo avanzamento. È come voler capire dove siamo durante un viaggio con una mappa disegnata secoli prima: ti mancano i riferimenti, fai fatica a capire dove ti trovi e di conseguenza quanto manca.

Inoltre, come è anche giusto che sia, se mi dai un piano il mio obiettivo è seguire quel piano e fare in modo che ci siano meno deviazioni possibili (ogni deviazione sono costi che si alzano e ritardi che si accumulano) 4. Personalmente io vivo questo approccio abbastanza male, perché ho l’idea che nel fare i progetti si debba cercare la massimizzazione del valore (e non litigare sulle CR).

Sì, ma…

Piero, come sei fiscale! Abbiamo capito che nel Gantt ci dovrebbe essere come minimo nome del task, inizio, fine, durata, predecessore e successore… ma noi non lo facciamo, facciamo una cosa più semplice e per noi funziona!

Certo che funziona, solamente non state usando un Gantt e non c’è nulla di male in questo, ma le parole sono importanti e vorrei citare un bel passaggio della Scrum Guide

 While implementing only parts of Scrum is possible, the result is not Scrum.

La frase citata è delicata, ma molto importante per comprendere e valutare le attività per quello che sono: “giochiamo a calcio, ma quando vuoi puoi anche prenderla con le mani” è un bellissimo sport/gioco, ma non è Calcio.

Facciamo Scrum, ma senza lo Scrum Master, il PO è il PM, non facciamo la Sprint Review” stai facendo una cosa probabilmente interessante, ma non è Scrum. Allo stesso modo se non stai inserendo gli elementi base di un Gantt in un Gantt non stai facendo un Gantt (lapalissiano).

Al posto del Gantt

Se il Gantt funziona molto bene in certi contesti (per cui continuerò a sostenere la validità di questo strumento) bisogna tenere conto che in altre situazione potrebbe non offrire vantaggi significativi o avere dei costi di aggiornamento/mantenimento così alti da renderlo sub-ottimale: per fortuna non è l’unico strumento esistente.

In molti casi per le agenzie o i dipartimenti marketing una meravigliosa Timeline può essere più che sufficiente: invece di scendere nel dettaglio rappresentiamo la sequenza di milestone e task in ordine cronologico 5.

Se vogliamo rimanere ad alto livello, ma fornendo maggiori informazioni ecco che la Roadmap può essere un altro strumento particolarmente interessante da esplorare. È un documento più legato alla strategia (per cui ci vogliono traguardi e obiettivi) che però contiene informazioni utili legate anche agli Stakeholder e ad altre informazioni.

Niente più dettagli!

Evviva: Piero ha detto che non dobbiamo più dettagliare le attività.

Momento, momento, momento: non dobbiamo dettagliarle nella Timeline o nella Roadmap, ma questo non significa che le attività non vadano specificate insieme (valutando insieme al team quale sia il giusto livello di granularità).

Magari lo facciamo durante lo Sprint Planning (se usiamo Scrum) o in una riunione simile se usiamo un sistema Ibrido, ma per evitare ambiguità e incertezza, abbiamo bisogno di trasparenza e confronto.

Per cui Gantt mi spiace, non sei tu, sono io: i miei progetti cambiano troppo velocemente e io ho bisogno di qualcosa che mi porti valore. Speri rimarremo amici e ogni tanto potremo ancora parlare.

Note:

  1. Datare esattamente l’introduzione di uno strumento non è mail facile, tendenzialmente possiamo essere confidenti dicendo inizio del 20° secolo, o 1910-1916 volendo restringere il periodo. Il 1916 è la data di pubblicazione del libro “Work, Wages, and Profits” in cui ne parla esplicitamente: fonte – PMI
  2. Da questo punto di vista lo stesso Gantt aveva identificato alcune pratiche premianti legate al superamento delle attività base, una sorta di MBO ante litteram, riprese dalle pratiche di gestione delle piantagioni di cotone: qui un piccolo approfondimento
  3. Ovviamente anche in questo caso è necessario un tool e anche se si possono disegnare cose interessanti con Excel non è per me lo strumento giusto per una gestione completa tramite Gantt
  4. Se vogliamo questa è una delle grandi diatribe tra Project Manager, persone che si occupano di gestire progetti che vengono assegnati, e Product Manager, persone che si impegnano per il successo di un prodotto. Sono due mondi vicini, ma non perfettamente sovrapposti e tendenzialmente il mondo Agile è più spostato sulle idee di Product Management
  5. Lo so che molti hanno sempre chiamato Gantt la timeline…
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Qualche triste verità sui tool di Project Management (AI Inclusa)

Quando insegno Project Management o lavoro in agenzia sull’ottimizzazione della gestione dei progetti arriva sempre una domanda “ma secondo te cambiando/introducendo un tool risolviamo i problemi?” con una mia risposta di base che è “gli strumenti sono importanti, ma non sperate siano la Soluzione”.

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L’AI tra Hype e Processi

Ogni giorno una persona che lavora nel digital si alza e sa che sarà uscito un nuovo tool di AI, che i tool già esistenti avranno presentato una nuova funzionalità e che ci saranno innumerevoli post su LinkedIn che raccontano di quanto sia interessante l’ultimo Ai Agent (con tanto di “commenta e chiedi il contatto per ricevere” che ha sostituito le landing page con i whitepaper).

Se da un lato abbiamo tanto hype con alte aspettative, dall’altro c’è una domanda frequente a cui è difficile dare una risposta immediata: “come possiamo ottenere dei benefici nella nostra azienda con queste incredibili AI?”. La risposta dovrebbe essere semplice, ma non lo è per una ragione estremamente banale: spesso mancano le basi, ma andiamo con ordine.

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assorted medals

Perché prendere certificazioni come PM?

Durante i corsi e le consulenze in agenzia, puntualmente la domanda arriva: perché prendi le certificazioni sul Project Management e soprattutto sull’Agile e Scrum? Servono davvero? Qui le mie considerazioni assolutamente personali partendo da una panoramica sulle certificazioni, a cosa servono e perché le prendo.

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four rock formation

Lean Presentation Design

Personalmente adoro fare presentazioni 1 e recentemente, per il Freelance Day, io e Chiara abbiamo fatto una presentazione a quattro mani e, quando metti un PM con una PO succedono cose straordinarie che meritano di essere raccontate.

Il lavoro sulle slide (la parte facile)

Dopo aver concordato Argomento, Titolo e Descrizione del nostro intervento con Chiara ci siamo messi all’opera: dal momento che avremmo lavorato a distanza abbiamo optato per Google Slides (evitando in questo modo rimpalli di email e lavorando su un’unica versione condivisa).

Ci siamo dati appuntamento e in (video) presenza abbiamo inserito la copertina fornita dagli organizzatori e scelto un tema, tra quelli disponibili, con elementi che ricordassero lo stile. Poi, prima di lavorare sui contenuti, usando la prima slide e il sito, abbiamo personalizzato il tema (colori e font).

Definito lo stile era giunta l’ora dei contenuti: tempo a disposizione (25-27 minuti), scaletta, organizzazione dei temi, divisione delle slide.

A questo punto ci siamo dati appuntamento alla settimana successiva: avremmo lavorato in autonomia sulle slide e rifatto il punto. Concordata la data del prossimo incontro ognuno ha organizzato il proprio lavoro.

Martedì altro momento insieme e revisione leggera sui contenuti, ordine e qualche prima considerazione su cosa aggiungere, togliere. Definite le attività ognuno avrebbe lavorato in autonomia (provando le sue parti) e il lunedì successivo avremmo fatto una prova.

Altro incontro e prima prova: considerazioni, prendiamo qualche appunto, siamo leggermente sopra con i tempi, ripensiamo qualcosa. Appuntamento alla settimana successiva con i cronometri alla mano e slide già consegnate (5 giorni di anticipo sulle richieste degli organizzatori).

Ultimo test, 25 minuti, ci siamo: ci diamo appuntamento a sabato 24, all’una un test per il video, alle 16.30 speech, 27 minuti

Cosa c’è dietro (la parte difficile)

Io lavoro come consulente in Project Management, Chiara è una Professional Organizer: probabilmente usiamo strumenti diversi, ma condividiamo alcuni principi e soprattutto un metodo, anzi una filosofia di lavoro.

Organizzare il lavoro

Le nostre slide non hanno visto una “webex permanente”, un lavoro costantemente in presenza, ma una valutazione di cosa ci serviva (per lavorare meglio) in presenza (time boxed 2 e quando invece lavorare in maniera indipendente.

Una rappresentazione visiva è la seguente: un’alternanza di lavoro sincrono e asincrono

Nei momenti “live” lavoravamo contemporaneamente condividendo delle attività che richiedevano la presenza di entrambi, negli altri momenti ognuno dei due aveva una serie di attività da realizzare secondo la propria organizzazione, i propri impegni e le proprie preferenze (ad esempio io sono un Gufo e Chiara un’Allodola).

Sembra quasi Lavoro Agile (e non una brutta copia in digitale del lavoro in ufficio).

Metodo e disciplina

Questo modo di organizzare, fare le prove, non ce lo siamo imposto: per me e Chiara è stato naturale organizzare le attività perché fa parte, come dicevo prima, della nostra filosofia di lavoro, del modo in cui gestiamo le attività.

La buona notizia è che non siamo nati così (per lo meno io), ma che con allenamento, pratica e disciplina abbiamo trovato delle soluzioni che ci consentono di lavorare meglio. Al tempo stesso questa è anche la cattiva notizia perché non esiste uno strumento magico che consenta di gestire bene le cose: bisogna darsi un metodo di lavoro. Un metodo che non deve essere solo nostro, ma condiviso anche con le persone con le quali stiamo lavorando (immaginate se io avessi voluto lavorare in un modo e Chiara in un altro, disastro).

Come ogni gruppo di lavoro dovrebbe fare, abbiamo definito prima strumenti, pratiche e appuntamenti per definire il nostro framework (o WoW, Ways Of Working) e poi abbiamo semplicemente lavorato.

“Eh, ma per un intervento di 27 minuti, tra sincrono e asincrono, sommando le attività avete lavorato 8 ore”

Sì. E su questa osservazione due considerazioni:

  1. può sembrare tanto tempo 3, ma il nostro lavoro è stato lineare e non c’è stato nemmeno un rework, una correzione. Nessun momento in cui ci siamo detti “aspetta il template è sbagliato – il font non è quello giusto – no rifacciamo tutta la scaletta”. Nella maggior parte dei progetti si parte molto veloci e poi ci si perde: si pensa che a correre subito si sia più veloci, ma alla fine, quando si misurano i risultati, si vede che sul lungo periodo l’organizzazione paga;
  2. siamo consapevoli di quanto tempo ci abbiamo messo e dei passi cha abbiamo fatto. Molto spesso, tornando all’esempio di sopra, chi parte senza una strategia, non sapendo come lavorerà o come organizzerà il proprio lavoro farà più fatica a misurare e sapete qual è uno dei grandi segreti per far quadrare i budget di progetto? Non rendicontare. Ma credo che misurare aiuti non a controllare persone e colleghi, ma a lavorare meglio: come direbbe Mando: This is the way.

Anche qui, molto Agili.

La qualità non si aggiunge

E arriviamo alla parte finale, quella più importante e difficile, ovvero quella di filosofia (che da anche il titolo al post). C’è un elemento chiave nel modo di lavorare che abbiamo deciso di utilizzare io e Chiara che possiamo riportare agli approcci Lean e Agile

Build a culture of stopping to fix problems, to get quality right the first time.

The Toyota Way – Principio n° 5

Continuous attention to technical excellence and good design enhances agility.

Agile Manifesto – Principio n°9

Nel fare le slide, le prove, non siamo mai tornati indietro: quando si verificava un problema ci siamo fermati e abbiamo identificato la soluzione: quante volte negli uffici si finisce una presentazione e ci si accorge che il logo è vecchio? che i titoli non sono allineati? che il template non è giusto e cambiandolo bisogna rimpaginare?

La qualità di un prodotto, in questo caso una presentazione, è qualcosa che abbiamo inserito come caratteristica del nostro lavoro, non come qualcosa che è stato aggiunto dopo.

Pensiamo a quanto tempo sprechiamo nel correggere lavori fatti in maniera approssimativa e quanto invece sarebbe più interessante e produttivo lavorare meglio e dedicare quel tempo (che è finito) ad altre riflessioni e ad altre attività (anche a supporto dei colleghi).

Questo modo di lavorare, un po’ alla volta, diventa un’abitudine e difficilmente riuscirai a farne a meno per il semplice fatto che si lavora meglio e a nessuno piace lavorare male (soprattutto quando scopri quanto sia diverso e positivo il diverso approccio).

Cultura aziendale

Fare le cose giuste al primo tentativo è difficile, ma se iniziamo a non passare cose mal fatte, a fermarci qualche minuto in più, sul lungo periodo lavoreremo tutti meglio.

Non si tratta di un cambiamento facile perché questa è una tematica di cultura aziendale e non tanto di metodo o di strumenti. Se ci pensiamo bene molte scelte lavorative discendono direttamente dallo stile manageriale dell’impresa e dalla cultura dell’azieda 4A volte poi viene mitigato o ingigantito dall’attitudine personale/ref].

In un’azienda dove ti guadano male se ti fermi per una riflessione, chi si prederà del tempo per correggere? in un luogo dove “non c’è tempo” chi si sentirà autorizzato a prendersi qualche minuto in più? Se non viene data importanza al lavoro dei colleghi, quanti si prenderanno il tempo per ascoltare? E così via.

Ovviamente, per me, è un discorso molto profondo perché ha a che fare con i valori profondi di un’impresa e soprattutto con il rispetto degli altri: lasciare “le slide” in ordine in modo che qualcun altro possa lavorare meglio è rispetto per l’altro, non un semplice vezzo.

Come ha detto Deming: la qualità non si aggiunge, buona o cattiva è già nel prodotto. Per cui lavoriamo bene 🙂

Inspection does not improve the quality, nor guarantee quality. Inspection is too late. The quality, good or bad, is already in the product. Quality cannot be inspected into a product or service; it must be built into it.

W. Edwards Deming

Note:

  1. Sulla mia vetrina Amazon – facendo gli esperimenti da Influencer – ho creato una sezione dedicata ai miei libri preferiti sul tema del Presentation Design
  2. È il concetto che un’attività/evento può occupare al massimo un determinato tempo
  3. Ecco, pensare che fare le presentazioni fatte bene sia un lavoro semplice è una grande illusione: richiedono tanto tempo per essere pensate e realizzate. Ovvio, lavorare male è sempre possibile, ma non è il modo in cui credo sia giusto lavorare
hotrod die cast model on board

Il debito tecnico nel Marketing

Tra le varie metafore presenti in ambito IT e sviluppo progetti, una delle mie preferite in ambito Agile è quella del “Debito Tecnico”, ovvero l’idea che si possa prendere in prestito della “qualità”, ma con un costo.

La metafora del debito tecnico è abbastanza semplice da comprendere, un po’ più difficile da quantificare: per alcuni progetti in ambito Comunicazione e Marketing risulta più facile, per altri il valore numero è una chimera. Vediamo quindi che cos’è, caratteristiche interessanti e alcuni modi per dargli un valore.

Il concetto di debito tecnico

Il concetto di Debito Tecnico è una metafora sviluppata da Ward Cunningham che illustra in maniera semplice come alcune decisioni (consapevoli o meno) sui progetti producano impatti a breve, medio e lungo periodo.

Partiamo da un progetto che possiamo sintetizzare come un percorso da un punto di partenza a un obiettivo (ovviamente non è una retta: i progetti perfettamente programmabili e senza cambiamenti in ambito IT, Marketing, Comunicazione e Digital esistono solo nel vuoto e in assenza di attrito)

Durante il nostro progetto possiamo ipotizzare una serie di attività e di momenti decisionali: sappiamo anche che esiste un percorso ottimale o che, in base a delle best practice, delle good practice o solamente per la nostra esperienza, sarebbe meglio seguire una determinata strada o fare tutta una serie di attività prima di passare alla successiva.

Se però decidiamo (o ci dimentichiamo) di saltare un passaggio, ecco che introduciamo una deviazione più o meno marcata dal nostro percorso ottimale.

Facciamo l’esempio classico della deviazione nella fase iniziale

Non facciamo un incontro con il cliente per definire bene i need iniziamo subito a lavorare

Non c’è tempo per scrivere un brief o fare una riunione: te lo dico a voce mentre stai lavorando su altro

L’Account 1

Ovviamente possiamo avere cambiamenti e modifiche in qualunque fase

Facciamo anche qui qualche esempio

  • La sicurezza dl progetto è un problema che affronteremo poi più avanti;
  • Backup e analytics sono temi importanti che gestiremo al momento opportuno;
  • fare un’analisi di mercato non serve perché sappiamo già che funziona;
  • invitiamo un sacco di persone a mettere like ai post e alla pagina, penseremo dopo a delle custom audience;
  • L’analisi delle url per mappare correttamente i redirect li faremo con calma quando saremo in una fase più avanzata del progetto.

Tutte queste sono delle scelte che potrebbero avere un impatto nel futuro del progetto ed ecco entrare il concetto di Debito Tecnico e soprattutto, tra gli altri elementi, quello di interesse.

Più tempo passerà alla restituzione del debito, maggiore sarà la quota d’interesse che dovremo pagare

Un esempio di facile comprensione può essere legato allo sviluppo di un sito di WordPress:

  • non attivo un servizio di backup: più tempo passa più il costo per sistemare un sito che è cresciuto nel tempo potrebbe essere importante
  • valuto solamente l’acquisto del sito e non la manutenzione successiva: più passa il tempo più è probabile che si rompa qualcosa

Penso che la metafora sia abbastanza chiara a questo punto e che si possano fare esempi in tutti i campi. Prendo ad esempio anche alla cinofilia (settore al quale sono esposto indirettamente): non faccio un corso di socializzazione al cucciolo (breve) e mi ritrovo con il dover fare un corso/percorso di rieducazione (lungo) al cane adulto.

Considerazioni sul Debito Tecnico

Tipologie e origine

Il Debito Tecnico è un elemento che tende a comparire naturalmente all’interno dei progetti di Marketing e Comunicazione principalmente per quattro motivi:

  • velocità: non c’è tempo per fare le cose (o crediamo non ci sia)
  • inconsapevolezza: è un progetto che non abbiamo mai gestito
  • sfiducia: non ci fidiamo di collaboratori o colleghi che ci danno pareri sul loro settore
  • ottimismo: crediamo che non dovremo mai fare i conti con certe scelte (esempio classico: la sicurezza)

Date queste premesse vediamo che ci sono varie possibilità e che normalmente vengono distribuite su una matrice con quattro settori

Per cui il Debito Tecnico non è un elemento che introduciamo sempre volontariamente nel progetto, ma possono esserci casi (legati all’ignoranza sul progetto o che sia qualcosa di completamente nuovo) dove scopriamo solo alla fine che sarebbe stato meglio fare qualcosa in maniera completamente diversa.

Gestione

Posto che credo non sia possibile fare un progetto totalmente privo di Debito Tecnico, l’elemento più importante a mio avviso è la consapevolezza di questo elemento. Possiamo infatti introdurre del Debito Tecnico nel nostro progetto di Comunicazione: il Project Manager o Il Team possono infatti valutare che, dati alcuni vincoli o alcune esigenze, sia possibile fare delle scelte sub-ottimali e introdurre qualcosa di non-perfetto o non-ideale e che si dovranno gestire le conseguenze in un secondo momento.

L’aspetto più importante dal mio punto di vista è quindi rendere visibile questo Debito che abbiamo introdotto e ripagarlo il prima possibile.

Il fatto di essere infatti consapevoli non è sufficiente, dobbiamo ricordarci che la quota d’interesse per ripagare questo debito aumenterà nel tempo. Qualora infatti si aspetti troppo si possono verificare due situazioni molto pericolose:

  • il costo del debito è così alto che il team non può più dedicarsi alla gestione delle attività ordinarie o allo sviluppo di nuovi elementi, ma deve lavorare tutto il tempo solamente per ripagare gli interessi di alcune scelte fatte in passato;
  • il costo del debito è così alto che è più conveniente buttare tutto e ricominciare da capo piuttosto che mettersi a risolvere il problema sul prodotto, campagna o attività.

Stima e valore

Una delle maggiori complessità quando si parla di Debito Tecnico in ambito MarCom è dare un valore al Debito (consapevole) che stiamo introducendo: quanto ci costerà di interessi? Questa è spesso la domanda che viene fatta ed è soprattutto l’alibi che viene utilizzata per introdurlo (“la state facendo troppo grossa: dopotutto con una giornata di lavoro riuscirete a risolverlo. Dimostratemi il contrario“).

In questi anni ho visto che su alcuni progetti di comunicazione è difficile dare una quantificazione del valore del debito introdotto mentre su altri si può dare una stima legata a vari parametri: non esiste infatti la sola misura economica, ma ci possono essere anche altri Performance Indicator.

Ad esempio sul tema siti e traffico possiamo ipotizzare che un’errata migrazione di un sito possa portare a un calo del traffico tra il 40% e il 70%. Dati questi valori posso calcolare l’impatto di una determinata scelta e in alcuni casi cercare anche una quantificazione economica (rapporto visite/acquisti o visit/lead e quanto andrò a perdere).

Oppure posso vedere il CTR medio delle landing del settore nel quale sto operando e, usando questo valore come ottimale, ipotizziamo che con con delle scelte sub-ottimali raggiungeremo un valore inferiore e i nostri interessi saranno legati a questo delta.

Sull’aspetto di quantificazione al momento ho visto che si tratta più di esperienza o di un minimo di ricerca: riduciamo l’incertezza epistemica (quello che sappiamo degli eventi).

L’ideale è diventare più bravi e ricordarsi di misurarlo a valle della modifica (ci segniamo il momento in cui abbiamo introdotto del debito e scopriremo a distanza di giorni, settimane e mesi quanto ci è costato).

E quindi?

Il Debito Tecnico non è necessariamente “il male”, ma qualcosa che si spera sempre di introdurre in maniera consapevole e prudente. Gestire infatti progetti significa anche questo, gestire dei rischi (che possono essere poi gestiti o dal PM o dal Team): questi sono elementi naturali e ineliminabili dai progetti, bisogna capire come affrontarli. Fare del debito e restituirlo gradualmente può essere anche una scelta ottimale e totalmente gestibile all’interno di un team o di una campagna.

Da questo punto di vista anche nelle Retrospettive possiamo dedicare alcuni di questi eventi o parte di essi alla discussione sul debito tecnico: se si tratta di una stima dobbiamo infatti verificare se le nostre ipotesi erano corrette o se possiamo imparare qualcosa.

Anche con il debito l’ideale è migliorare costantemente nella sua gestione così come in tutti gli aspetti che riguardano i nostri team e i nostri progetti.

Note:

  1. Continuiamo sui cliché d’agenzia ricordandoci che il ruolo di account è molto delicato e importante