generale

man wearing black and white stripe shirt looking at white printer papers on the wall

Perché è pericoloso lavorare su più progetti

Ogni tanto ripropongo una tabella che mette in relazione il numero di progetti seguiti contemporaneamente e l’inefficienza: l’elemento più evidente è che al crescere dei progetti cresce l’inefficienza, ma questa è solo il punto di partenza.

Partiamo dalla tabella

Tabella con il rapporto tra progetti gestiti simultaneamente e l'inefficienza dovuta alla perdita di passaggio da un contesto all'altro

Questa tabella è abbastanza famosa perché è citato in uno dei testi classici “Fare il doppio in metà tempo” di Jeff Sutherland (link affiliato Amazon 1). La prime reazioni a questa tabella sono mediamente lo sconforto e soprattutto la negazione “ah, ma io sono bravissimə a gestire più cose contemporaneamente”. Bene, facciamo un piccolo esperimento: bastano carta, penna e un telefono (mi spiace, niente colla vinilica a questo giro).

Su due righe dovrete scrivere in stampatello il vostro nome e cognome

NOME

COGNOME

Scrivete prima tutto il nome e poi tutto il cognome e cronometrate quanto ci mettete: io ho impiegato 12 secondi.

Bene, adesso scriviamo sempre nome e cognome su due righe MA alterniamo una lettera del nostro nome a una del nostro cognome

Il risultato è “praticamente” quello di prima

NOME

COGNOME

Anche qui provate a cronometrare quanto ci mettete: io ho impiegato 16 secondi.

Per fare la stessa identica cosa (scrivere 17 lettere su un foglio di carta) nel secondo caso ho usato 4 secondi in più. Non ho “aggiunto più valore”, non ho “fatto più cose”: il semplice fatto di dover passare da una cosa all’altra (il famigerato multitasking) mi ha rubato 4 secondi che non potrò dedicare ad altro.

Ci sono migliaia di varianti su questo esperimento 2, ma ampliamolo ai nostri progetti dove invece di fare azioni relativamente semplici come scrivere il nostro nome e cognome dobbiamo scrivere libri, analizzare campagne, implementare modifiche cosa succede? Un grande classico “non capisco: ho lavorato un sacco, sono stanco e oggi non ho concluso nulla”.

Perché è rischioso gestire tanti progetti contemporaneamente?

Immaginiamo per un secondo la rappresentazione teorica dei nostri progetti: in generale abbiamo un momento d’inizio (Start – A) e un momento di chiusura (Finish – B)

Rappresentazione teorica di un progetto che deve andare dallo stato A allo stato B

Cosa succede normalmente? Che abbiamo tante cose da fare e ci sono quindi tutti i nostri progetti (rappresentati da dei magnifici pacchetti azzurri) che aspettano di essere presi in carico

Il primo approccio è quello di iniziare a lavorare su tutti perché “il cliente lo vuole subito”, “mi ha chiamato l’account e dobbiamo andare avanti” e tutte quelle belle frasi che si sentono spesso sui progetti. Per cui iniziamo a lavorare contemporaneamente su tutti i progetti

lavoro contemporaneo su vari progetti in parallelo

Bene, cosa succederà a questo punto? Molto banalmente che inizieremo a suddividere le nostre giornate passando da una urgenza all’altra cercando di fare tutto e, banalmente, accumulando solo ritardi e sprechi.

Perché parlare di rischio? Se sei un freelance credo sia evidente: avere tanti progetti aperti e nessuno finito significa rischio finanziario perché non puoi emettere fattura se le attività non sono concluse. Un’attività aperta e non conclusa è uno spreco.

Dovremmo iniziare a smettere di dire “è pronto all’80%”. O è finito o non lo è.

Il costo mentale di passare da una cosa all’altra è estremamente elevato: ormai c’è una significativa bibliografia in merito e non ci sono più dubbi. Pensate ad esempio al fastidio quando state lavorando, siete concentrati e un collega (o un figlio se siete in “smart working”) vi interrompe: per riprendere il filo dei pensieri ci metterete cinque, dieci minuti (a volte anche di più).

Sempre in “Fare il doppio in metà tempo” c’è un interessante aneddoto sulla correzione di bug: se corretto in giornata richiedeva un’ora, se corretto dopo tre settimane, lo stesso bug, richiedeva 24 ore. Molto banalmente perché bisogna ricordarsi e ricostruire tutto e, più passa il tempo, più è difficile.

Passare da un task/attività/progetto all’altro ha un costo molto elevato. Interrompersi e riprendere le attività (dopo aver lavorato su altro) significa iniziare con le domande tipo: cosa stavo facendo? cosa volevo dire qui? la premessa qual era? perché stavo pensando di aumentare il budget sulla campagna 5?

Da qui l’idea tanto banale quanto geniale degli Approcci Agili e soprattutto Lean

bilanciato

Non lavorare su tutto, ma capire cosa siamo in grado di gestire in maniera ottimale e diventare molto molto veloci nel chiudere i progetti. Il nostro obiettivo non è farci vedere impegnati (il famigerato “Facite ammuina), ma cercare di lavorare in maniera equilibrata riducendo i rischi.

Da qui una frase importantissima: Stop Starting & Start Finishing (Smettila di aprire roba e inizia a chiudere le attività)

E se ho più progetti e non sono tutti azzurri? Io lavoro tanto con Agenzie e Reparti Marketing e anche in questo caso, non cambia molto, banalmente abbiamo questa situazione

esempio di backlog multiprogetto

Immaginiamolo nella gestione delle attività di uno specialista di Social ADV che gestisce sei campagne per cinque clienti diversi. Questa persona dovrà svolgere una serie di attività come analisi performance, controllo budget, reportistica.

Se applichiamo l’approccio “apri tutto” analizzerò le performance di tutte e sei le campagne, poi analizzerò le performance e infine farò la reportistica. Se invece utilizzo un approccio più orientato alla filosofia Agile e Lean: prendo la campagna rossa, analizzo le performance, controllo il budget, faccio il report. Poi passo alla verde, stesso ciclo, poi le azzurre e poi le gialle.

Fare in questo modo mi consente di chiudere più rapidamente e di non dover, ad esempio, in fase di report dover tornare a guardare le campagne perché mi sono dimenticato gli elementi che volevo sottolineare al cliente.

Pensiamolo anche con le slide (uno tra i grandi insegnamenti ricevuti nel 2009 in Hagakure da Cimny): invece di saltare da una slide all’altra, indice, poi qualche bozza etc. fermati e finisci ogni slide prima di passare alla successiva. Fai giusto tutto al primo colpo 3.

Si tratta semplicemente di ripensare al modo in cui lavoriamo e gestiamo i nostri progetti: cerchiamo di condensare i progetti diversi e chiuderli prima di passare ad altro in modo da ridurre i costi di passaggio.

Per cui è possibile lavorare su più progetti (anche da remoto), gestendoli meglio.

(se poi ti appassiona il tema facciamo dei corsi bellissimi sul Project Management in Digital Update: con questo link c’è anche un 10% di sconto per i nuovi iscritti)

Note:

  1. I link affiliati sono dei link specifici che portano verso un determinato negozio e che riconoscono alla persona che ha condiviso il link una commissione: sto facendo alcuni esperimenti con il programma Affiliate di Amazon e il loro programma Influencer
  2. Quello classico: provate a scrivere su tre righe i numeri da 1 a 10, da I a X, e le lettere da A a L: anche qui provate a scrivere prima tutte le serie (da 1 a 10, da I a X, da A a L) e cronometrate; provate poi a scrivere un elemento per volta (1, I, A – 2, II, B – 3 III, C – 4, IV, D… ) e cronometrate.

    Un’alternativa interessante è provare a usare due penne di colore diverso per scrivere il Nome e il Cognome e tre per le serie di numeri

  3. il concetto del “build quality in”: la qualità non si aggiunge alla fine, ma deve essere una caratteristica del sistema/prodotto e non abbozzare tutto. Su questo tema (che potremmo chiamare Lean Presentation Design io e Chiara avremmo molto da raccontare per quanto fatto per il freelance day.
silhouette of boy running in body of water during sunset

Ritornare alla normalità?

All’annuncio della (nuova) chiusura di Palestre, Teatri, Cinema etc. ci sono rimasto male e ho iniziato a rimuginare e borbottare. C’era qualcosa che non riuscivo a mettere a fuoco: cosa mi dava veramente fastidio? Alla fine ci sono arrivato: l’idea che si possa tornare alla vecchia normalità e che a farne le spese sia chi invece è già cambiato.

Alla fine del lockdown ho ripreso ad allenarmi (come credo tutti i malati di Crossfit), ma non era come febbraio. Numero chiuso e limitato, distanziati, mascherine all’ingresso, sanificare mani prima di entrare, registro della temperatura, nessun assembramento, sanificare gli attrezzi alla fine. Ogni singola volta. Niente strette di mano o “bha-la-la-lala“. Nessuno scambio di attrezzi. Ogni singola volta.

Ma alla fine funzionava.

Due volte in questi mesi siamo usciti a cena (anche per celebrare la riapertura delle scuole: lo smart working è bello se non hai creature urlanti per casa, ma questa è un’altra storia). Non era come febbraio. Prenotazione obbligatoria, mascherine fino al tavolo, sanificazione mani all’ingresso, lontanissimi dagli altri (cosa che avrei apprezzato anche prima), menù con qr code (finalmente sono utili e diffusi). Ogni singola volta

Ma alla fine funzionava.

Ho colleghi che lavorano nel mondo dell’arte, dei live e dello spettacolo e anche li: situazione non rosea, ma riscrivendo profondamente il funzionamento, i processi e la gestione delle attività hanno trovato delle soluzioni abbastanza sostenibili e soprattutto sicure.

Poi parlo con colleghi che mi raccontano invece di un mondo che è tornato quello di prima:

  • l’emergenza è finita, torniamo tutti in ufficio.
  • il dramma è finito, torniamo tutti sui mezzi pubblici.
  • basta con la DAD fallimentare, torniamo finalmente in aula.

Il mio fastidio è proprio per questo: l’idea che si possa tornare alla situazione precedente.

Mi spiace: no, la normalità è quella di giugno (mascherine, distanza fisica, meno contatti possibili, più lavoro da remoto e smart, nuove soluzioni per la didattica) ed è con questo che dovremo convivere per i prossimi mesi o anni.

Non ti piace? Vorresti andare in giro senza mascherina?

Ma io non voglio cambiare, voglio tornare a fare la cose come prim…

Spero che il concetto sia chiaro.

Ma i bambini hanno bisogno di andare a scuola!

No. Hanno bisogno di socializzare e imparare. Con la DAD si possono fare cose egregie: se qualcuno pensa semplicemente di trasferire l’aula online facendo lezione frontale davanti a una telecamera ha sbagliato tutto. I bambini possono socializzare in altri modi? Certo, ma bisogna pensarci e riflettere, non si può replicare quello che si faceva prima.

Ma i dipendenti hanno bisogno dell’ufficio!

Al netto di chi veramente produce in un luogo, i professionisti del terziario avanzato (ok boomer) non devono andare in ufficio mediamente è un problema di management che non ha capito cosa è successo negli ultimi 40 anni. C’è da ripensare i team, i progetti, processi etc.

Il vero problema? Come direbbe un mio amico è che “Non è un cazzo facile”

Ripensare spazi, processi, persone è difficile: tornare indietro sarebbe bellissimo, ma non funziona e soprattutto non succederà (a tal proposito c’è un piccolo libro di management, molto USA: “Chi ha spostato il mio formaggio” – link al libro affiliato Amazon 1

C’è chi ha capito che il mondo è cambiato, ha iniziato a correre e si è adattato e chi invece spera tutto torni come prima. È questo che mi ha dato fastidio: chiudere chi ha iniziato a correre.

Note:

  1. I link affiliati sono dei link specifici che portano verso un determinato negozio e che riconoscono alla persona che ha condiviso il link una commissione: sto facendo alcuni esperimenti con il programma Affiliate di Amazon e il loro programma Influencer
piero tagliapietra project management

Gestire progetti digitali

Era proprio necessario scrivere un altro libro sulla gestione dei Progetti Digitali? Non c’erano abbastanza testi sul Project Management? Secondo me no, soprattutto in ambito Digital e Comunicazione/Marketing.

Svelerai quindi i segreti per fare tutti i progetti digitali?

No: mi spiace, niente risposta sulla vita, l’universo e tutto quanto (tanto quella rimane 42).

Il tema principale del libro è proprio questo: non è possibile rispondere alla domanda “mi dai il metodo assoluto per fare il progetto x” perché non esistono due aziende, contesti, clienti e progetti uguali e quindi non è possibile dare delle indicazioni puntuali su come fare esattamente lo sviluppo di un sito o una campagna adwords.

Ovvio che si possono dare varie opzioni che possono essere adattate allo specifico contesto aziendale.

Ma quindi è meglio Waterfall, Scrum o Kanban o Lean Startup? Nessuno ed è qui che entra in gioco il libro.

Chi si occupa dei progetti oggi (e soprattutto di quelli in ambito Digital) a mio avviso deve conoscere tutte le metodologie e scegliere quella che potrebbe funzionare meglio (anche se possiamo già sbilanciarci sul fatto che probabilmente Agile e Lean sono le due famiglie più utili).

Si tratta quindi di adottare quello che si chiama un “Agile Mindset” e di non erigersi ad araldi di un metodo, ma di scegliere quello che consente di generare il maggior valore in quel contesto specifico

The goal of project management is to produce Business Value in the best possible way given the current environment. It odes not matter if that way is agile or predictive. The question to ask is “How we can be most successful?” 1

Per cui nel libro parlo tanto di filosofia (che è alla base di tutto: ricordiamoci la famosissima frase di Druker “Culture eats strategy for breakfast” ) della gestione e cerco di dare una prima panoramica sui vari approcci (Predittivi, Iterativi, Incrementali, Agili e Ibridi) in modo che si riesca:

  • a capire meglio il proprio ambiente lavorativo
  • identificare e mappare i propri progetti per scegliere approcci ed evoluzioni
  • sviluppare una cultura del progetto e del Project Management
  • scegliere quale metodo, famiglia e approcci approfondire

Perché leggerlo? Può servire anche a me?

Tutti noi gestiamo progetti e stiamo andando verso una Project Economy: per cui avere una rapida idea di cosa vuol dire gestire un progetto e del perché aggi si parla tanto di Agile, Scrum, Lean e Kanban (che non è Trello) per me è una competenza fondamentale.

Oltretutto ognuno di noi gestisce progetti e organizzare male l’attività significa avere persone poco motivate 2 e non riuscire a fare il progetto o non rispettare i vincoli o ridurre i margini sul progetto (o addirittura andare in perdita).

Per cui il libro serve anche a capire cosa è cambiato il Project Management negli ultimi 25 anni (da una visione ancora meccanicistica ad una più legata alla complessità e ad una visione che potremmo definire quasi Olivettiana) e come possiamo organizzare le nostre attività.

Non troverai però la soluzione migliore a livello di tool (È meglio Asana, Wricke, Monday, MS Projects, Bitrix, Miro, Kanbantool, Kananizer, Mural….), ma il processo per arrivare a trovare da solo la risposta .

Ok, dove lo trovo?

Il libro è edito Franco Angeli e qui puoi leggerne un estratto: puoi prenderlo su Amazon o da qualunque altro store o negozio fisico: sarà disponibile dal 5 marzo.

Note:

  1. Agile Practice Guide – Project Management Institute – pg 29. A mio avviso uno dei testi da leggere per adottare ili giusto approccio
  2. È importante ricordare che non gestiamo progetti, ma persone: sono infatti loro a dare vita al progetto e un Team privo di motivazione, scarsamente collaborativo e che non lavora insieme difficilmente riuscirà a garantire il raggiungimento degli obiettivi del progetto

Come fare le domande agli eventi (spiegato bene)

Ogni tanto partecipo ad alcuni eventi (a volte come relatore a volte come parte del pubblico) e uno dei grandi mali che affliggono le conferenze italiane sono le domande del pubblico: gli italiani mediamente non sono in grado di fare domande.

Read more

E quindi questo 2017? Continuo così, grazie

Febbraio 2018 inoltrato e finalmente riesco a sistemare quello che doveva essere il “post” bilancio 2017: direi che già questo racconta un sacco di cose sull’anno passato e anche su quello che si prospetta essere il 2018. In poche parole intenso, di corsa, pieno di cose belle e con alcuni sprazzi di equilibrio.

Read more

Gli Influencer spiegati bene

In questo periodo, oltre ai fiori sugli alberi, sono spuntati una serie di articoli e post sugli Influencer il cui contenuti (volendo mantenere un inglese distacco) sono vagamente discutibili e nei quali emerge una conoscenza non sempre profonda del tema. Per cui, nella speranza di fare un po’ di chiarezza e non vedere l’anno prossimo rispuntare altri articoli con le medesime riflessioni, riprendiamo alcuni concetti base.

Read more

Due parole su Buzzoole

In questi giorni ho letto l’ennesimo post relativo a Influencer Marketing e l’etica della persuasione commerciale: in teoria nulla di nuovo sotto il sole, ma sinceramente credo che sia il caso di fare un po’ di ordine e chiamare le cose con il loro nome. Se ti pago per partecipare a una campagna di comunicazione è ADV e come tale andrebbe dichiarato.

Read more

Melegatti: l’inutilità delle polemiche sul nulla

In questi giorni si è parlato molto di Melegatti sui Social Media e dopo aver letto buona parte delle discussioni ritengo fondamentale ribadire alcune cose: bisognerebbe smetterla di chiamare qualunque cosa fail, ignorare chi cerca di fare polemica sul nulla e rimettere al giusto posto i Social Media.

Read more

Influencer Marketing: è ancora una novità?

In questi mesi sono stati pubblicati dei post interessanti sul tema degli Influencer: penso a quello di @skande (L’influencer marketing sta per affermarsi anche in Italia) e di @rudybandiera (Il Teorema del Triplo win: win-win-win e influencer marketing) o di @gluca (Benvenute, Pay Digital PR). Tuttavia una cosa mi lascia insoddisfatto: il fatto che ancora “si inizi” a parlare di Influencer Marketing o che questo si stia affermando e non si vada verso una maturità.

Read more

I limiti dell’influencer marketing

S’inizia anche in Italia a discutere di Influencer Marketing: tra i vari elementi di discussione che si potrebbero affrontare (perché non è corretto parlare di Influencer Marketing, perché la discussione andrebbe impostata in maniera differente, quali sono gli scenari attuali e futuri) vorrei concentrarmi su un punto fondante sul quale c’è una discreta confusione: i limiti delle attività con gli Influencer.

Read more